Bollettino Quotidiano della pace |
Pubblicata in data 13/9/2005 Sommario di questo numero: 1. Il giorno 11 del mese di settembre 2. Dal dire al fare 3. Anna Bravo: Si' 4. Nadia Cervoni: Si' 5. Angela Dogliotti Marasso: Si' 6. Giuliano Falco: Si' 7. Angela Giuffrida: Si' 8. Giannozzo Pucci: Si' 9. Claudio Tugnoli: Si' 10. Michael Moore: Aiutiamo Cindy 11. Eduardo Galeano: Le guerre mentono 12. Omero Dellistorti: Per Franca Ongaro Basaglia 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. IL GIORNO 11 DEL MESE DI SETTEMBRE Ricordo: quell'undici settembre del 1973. Ero giovane allora, ma anche al mio paese giunse presto la notizia. Non ho dimenticato. Ricordo: quell'undici settembre del 2001. Ero invecchiato ormai, neanche questo orrore mi fu risparmiato. Ma quest'undici settembre 2005, lungo la strada tra Perugia e Assisi, ho visto e ho sentito tanti volti e tante voci in colloquio corale esprimere chiara e forte questa semplice verita': che alle armi, alla guerra, al terrorismo, all'uccidere tu, proprio tu, devi opporti; tu, proprio tu, devi resistere. E solo cosi' l'umanita' si salva. E questa e' la nonviolenza. In cammino. 2. EDITORIALE. DAL DIRE AL FARE E' dall'inizio della storia, della storia delle uccisioni e delle guerre, che si parla di disarmo. Piu' cresce la potenza distruttiva delle armi e piu' si chiacchiera - ma si chiacchiera solo - di disarmo: interminabilmente, fumosamente, inanemente. Piu' orribili divengono le guerre, e piu' si convocano conferenze per il disarmo, il cui esito nove volte su dieci e' finire in recriminazioni e reciproche accuse, mentre il riarmo cresce e cresce ancor piu', e sempre piu' l'apocalisse incombe sull'intera civilta' umana. La guerra uccide, il disarmo resta chiacchiera da salotto, o partita a scacchi: cominciare a disarmare io? No, comincia tu. E non comincia nessuno. Strage dopo strage, orrore dopo orrore. Il piu' delle volte sono gli stessi assassini che dismesso per un poco il grembiale del macellaio e insaccatisi in compite gramaglie dal palco alti levano lai ai funerali dei figli della patria, o recitano le geremiadi piu' appassionate e le piu' umide perorazioni nei congressi per la pace; poi via di corsa che la macelleria non puo' attendere, tanto e' lucroso affare lo spaccio di carne umana. * In Brasile accade invece un miracolo. Il governo (dico: il governo, il presidente della repubblica in persona) lancia una campagna per il disarmo invitando i cittadini a consegnare le armi da fuoco alle autorita' affinche' siano distrutte. In un anno si salvano piu' di tremila vite umane, si rovescia la tendenza per tredici anni costantemente in crescita delle persone uccise da armi da fuoco (ogni anno un'ecatombe, in quel paese). Ma non basta: chiede al popolo di votare: volete che sia proibito il commercio delle armi? Che tradotto in buon toscano significa anche: Volete salvare migliaia e migliaia di vite umane? Volete poter vivere anziche' morire? Volete disarmare gli assassini? Volete dare una mano per migliorare l'umanita' e il mondo, che e' la nostra casa comune, l'unica che abbiamo? E il 23 ottobre si vota, ed e' la prima volta nella storia dell'umanita' che un popolo prende nelle sue mani una decisione cosi' cruciale e puo' decidere di farla finita con gli omicidi, puo' decidere di indicare una via di salvezza per l'intero genere umano: il disarmo, la gestione nonviolenta dei conflitti, la convivenza - la civile convivenza, l'umana convivenza - come metodo e come sistema. * Dobbiamo sostenere le nostre sorelle e i nostri fratelli che in Brasile in queste settimane stanno cercando di far sapere a tutte e tutti la verita' di Abele e di Caino, stanno impegnandosi affinche' vinca il si' all'umanita', il si' al dirittto a vivere, il si' al disarmo; dobbiamo metterci anche noi al servizio del popolo brasiliano che in questo momento, con questa decisione, puo' fare un dono grande all'umanita' intera. E dunque chiunque puo' fare qualcosa di buono e quindi di utile, agisca: per far crescere anche qui e ovunque l'informazione e la coscientizzazione; per raccogliere e inviare aiuti materiali alla campagna brasiliana per il si'. Adesso. * Per sostenere la campagna per il "si'" al referendum brasiliano si puo' contattare Francesco Comina in Italia (e-mail: f.comina@ladige.it) e padre Ermanno Allegri in Brasile (e-mail: ermanno@adital.com.br, sito: www.adital.com.br); per molte utili informazioni visitare il siuto www.referendosim.com.br In queste settimane il nostro foglio ospitera' le dichiarazioni di sostegno al si' al referendum brasiliano delle persone che avranno la bonta' di voler intervenire, le sollecitiamo e le ringraziamo tutte fin d'ora. 3. 23 OTTOBRE. ANNA BRAVO: SI' [Ringraziamo Anna Bravo (per contatti: anna.bravo@iol.it) per questo intervento. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003] Il referendum del 23 ottobre si fonda su argomentazioni forti, come l'uso delle armi da parte di organizzazioni criminali, come il carattere "umanizzante" che ha storicamente avuto il passaggio al monopolio statale della forza. Fra le osservazione dei promotori che mi hanno colpito di piu', insieme ai dati sulle morti per arma da fuoco, c'e' la domanda finale: volete un paese dove ogni giorno 108 persone vengono uccise, o un paese che valorizza la vita e cerca soluzioni collettive attraverso la sicurezza pubblica? * Secondo gli oppositori del referendum, invece, la proibizione e' tipica delle dittature, che disarmano i cittadini e armano le proprie milizie - l'esempio citato e' il III Reich... Ma qui e' necessaria qualche precisazione. In primo luogo, e' noto che alla persecuzione degli ebrei e alla dissuasione dal portare loro aiuto, provvedeva la burocrazia del terrore - Gestapo, polizia ufficiale, e "servizio di sicurezza" delle SS - che aveva steso su tutta la societa' una rete di sorveglianza resa ancora piu' spaventosa dall'atmosfera di mistero, dalla segretezza delle procedure, dalla gamma amplissima delle accuse e dalla loro vaghezza. In secondo luogo, e' ovvio che fra totalitarismi e democrazie c'e' un abisso, ma quell'abisso ha origine prioritariamente nella distruzione delle strutture della coesione sociale: in Germania, citta' e campagne pullulavano di club sportivi, religiosi, patriottici, amatoriali, di associazioni filantropiche, di cooperative di consumo e di mutuo soccorso. All'inizio del 1933 nella cittadina di Nordheim c'erano 161 diversi club (uno per ogni sessanta abitanti), 161 luoghi dove stare e agire insieme, crearsi giudizi su fatti e persone, cercare soluzioni collettive. Entro la fine del 1933, tutte le associazioni della socialdemocrazia vengono eliminate; delle societa' e club non di partito, alcuni sono sciolti, altri riassorbiti nelle organizzazioni naziste, praticamente tutti finiscono sotto controllo. Nella nuova societa', non devono piu' esistere gruppi sociali indipendenti ne' rapporti fra individui, se non attraverso l'intermediazione dello Stato e del dirigente nazista che lo incarna. "Non c'era piu' vita sociale; non si poteva neanche avere una bocciofila", racconta un protagonista del libro di William Sheridan Allen sui metodi di radicamento del partito. All'individuo non restano che i rapporti obbligati e massificati nelle organizzazioni di regime. Le armi non c'entrano. * Fra le argomentazioni pro-abolizione, vorrei riprenderne una, di Dacia Maraini, sul rischio di delitti privati. Nessuno di noi e' al riparo dall'esplosione di collera, dal cortocircuito fra minaccia (o aggressione) subita e reazione violenta, dalla voglia di far male che scatta davanti alle ingiustizie e alle crudelta' commesse contro i piu' deboli o contro chi ci e' piu' caro. Non ci possiamo mai permettere di dimenticare che il tasso di violenza diffuso puo' contagiare chiunque; e che si realizza non sotto forma di raptus, termine abusato e deresponsabilizzante, ma come reazione all'insopportabilita' di un gesto o di una situazione, e da questo trae una sua aura di legittimita'. Allora avere un'arma oppure no diventa decisivo, perche' la violenza in cui possiamo cadere sia il piu' possibile limitata e reversibile. Almeno questo. Penso alla violenza politica, ma non solo. Ricordo che in un ciclo di lezioni qualcuno aveva detto a Gianni Sofri che l'India era stata la terra della nonviolenza perche' il tasso di distruttivita' era basso; e che Gianni aveva risposto: "al contrario, era alto, e proprio per questo era stato importante lavorare per una coscienza diversa". In fondo, in una societa' storicamente mite, che bisogno ci sarebbe di predicare la mitezza? Per questo hanno ragione i promotori del referendum a parlare di scelta fra due modelli. 4. 23 OTTOBRE. NADIA CERVONI: SI' [Ringraziamo Nadia Cervoni (per contatti: giraffan@tiscali.it) per questo intervento. Nadia Cervoni e' impegnata nelle Donne in nero ed in numerose iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza; dal 2002 e' impegnata particolarmente sulla questione kurda/turca. Opere di Nadia Cervoni: con Liana Bonelli, Teresa Quattrociocchi, Micaela Serino (a cura di), Con la forza della nonviolenza. Voci di donne curde e turche, Promograph, Roma 2002] Abolire il commercio delle armi da fuoco! La cosa e' talmente grandiosa che il mio si' mi si strozza in gola. Grandiosa e necessaria per un'umanita' dolente che vuole continuare ad avere voce. Accade in Brasile con il primo referendum nella storia sul commercio delle armi. Se il referendum passera' la giornata del 23 ottobre sara' un segno indelebile a cui non si potra' non fare riferimento. Una striscia di futuro importante per tutti e tutte noi. Il pensiero va a Gerusalemme da dove sono tornata di recente e dove accade di camminare tra pistole infilate nella cinta e lambite dall'abbraccio di bimbi attaccati ai pantaloni dei loro papa', e fucili a tracolla, qualche volta anche due insieme, portati da giovani, ragazzi e ragazze; ogni tanto una sosta per un saluto tra amici, pacche sulla spalla e il fucile dondola, soste sul muretto e il fucile si appoggia. Mi sfiora la canna di un fucile, come evitarla! Mi blocco, ho i brividi, "attenta, e' armato, e' armata". Chi, dove, quanti sono? Cominciamo dal Brasile, ma cominciamo veramente! 5. 23 OTTOBRE. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: SI' [Ringraziamo Angela Dogliotti Marasso (per contatti: maradoglio@libero.it) per questo intervento. Angela Dogliotti Marasso, rappresentante autorevolissima del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, svolge attivita' di ricerca e formazione presso il Centro studi "Sereno Regis" di Torino e fa parte della Commissione di educazione alla pace dell'International peace research association; studiosa e testimone, educatrice e formatrice, e' una delle figure piu' nitide della nonviolenza in Italia. Tra le sue opere segnaliamo particolarmente Aggressivita' e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; il saggio su Domenico Sereno Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999; con Maria Chiara Tropea, La mia storia, la tua storia, il nostro futuro, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003; Con Elena Camino (a cura di), Il conflitto: rischio e opportunita', Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004] La Camera Federale brasiliana ha approvato il 6 luglio scorso il decreto legislativo 1274/04, del Senato Federale, che autorizza una consultazione popolare sul commercio delle armi da fuoco in Brasile. Pertanto, il 23 ottobre prossimo tutti i cittadini e le cittadine brasiliani tra i 18 e i 70 anni saranno chiamati a votare si' o no al seguente quesito referendario: "Il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni deve essere proibito in Brasile?" (vedi anche in proposito la lettera di Beatriz Cruz comparsa sul n. 28 dell'8 settembre scorso di "Nonviolenza. Femminile plurale"). Sara' il primo referendum della storia del paese, nonche' il primo al mondo su questo tema. Sono andata a cercare sul sito www.referendumsim.com.br alcuni materiali relativi al dibattito intorno a questa iniziativa e ho trovato una scheda che argomenta alcune ragioni per votare si'. Mi sembra che offrano spunti importanti e possano essere occasione di riflessione anche per noi. Eccone alcuni. Nel 2003 in Brasile ci sono stati 108 morti al giorno per armi da fuoco (circa 40.000 in un anno) e le armi da fuoco sono la prima causa di morte tra i giovani maschi del paese. Dei 17,5 milioni di armi che circolano in Brasile, il 90% e' posseduta da civili. Tenere armi in casa aumenta i rischi, anziche' la sicurezza. Infatti, da studi effettuati, emerge che: - due bambini tra 0 e 14 anni restano feriti accidentalmente ogni giorno; - quando c'e' un'arma in casa, sono piu' le donne presenti in famiglia a correre il rischio di essere ferite di quanto non lo sia un ladro: il 44% degli omicidi commessi nei confronti delle donne avvengono con armi da fuoco e i due terzi dei casi di violenza contro le donne hanno come autore il marito o il compagno; - in caso di assalto a mano armata, la reazione armata aumenta il rischio di morte, come evidenzia una ricerca realizzata nello stato di Rio de Janeiro (la possibilita' di morte in caso di reazione armata e' di 180 volte superiore; quella di essere feriti e' di 57 volte superiore). * Le leggi sul controllo degli armamenti aiutano a diminuire i rischi per tutti. In Australia, a cinque anni dall'entrata in vigore di una legge che proibisce la vendita di armi da fuoco il tasso di omicidi e' calato del 50%; uno studio Unesco pubblicato nel 2005 mostra che Australia, Inghilterra e Giappone, dove le armi sono proibite, sono tra i paesi del mondo in cui si muore meno per armi da fuoco, mentre gli Stati Uniti (vedi anche la denuncia di Michael Moore), uno dei paesi in cui il commercio delle armi e' piu' libero, sono anche uno dei paesi piu' violenti. Proibire il commercio delle armi e' certamente solo il primo passo. Da solo non risolve certo i problemi della criminalita'. Ma e' un passo fondamentale nella direzione di una societa' piu' sicura. Bisogna poi continuare a lavorare per stabilire dei trattati internazionali sul controllo degli armamenti, migliorare il modo in cui si amministra la giustizia (e lo stesso concetto di giustizia in ambito penale), cosi' come e' fondamentale affrontare alla radice il problema delle disuguaglianze e dell'ingiustizia sociale. Mi pare che simili considerazioni valgano anche non solo per le nostre societa' ma per l'intero sistema delle relazioni internazionali, se vogliamo muoverci verso un futuro di riduzione dei sistemi offensivi, di transarmo e di difesa civile non armata e nonviolenta come alternative alla guerra. 6. 23 OTTOBRE. GIULIANO FALCO: SI' [Ringraziamo Giuliano Falco (per contatti: giulianofalco@libero.it) per questo intervento. Giuliano Falco, nato nel 1958, impegnato per i dritti, la solidarieta', la convivenza, la pace, e' insegnante di sostegno per scelta e promuove iniziative volte a migliorare l'inserimento e l'integrazione delle persone diversamente abili e degli alunni stranieri; opera altresi' nell'ambito dell'intercultura, favorendo processi di convivenza con le comunita' straniere nella zona di Albenga dove vive e lavora; ha fondato e dirigo un centro a questi fini; cultore di archeologia, ha realizzato un percorso per non vedenti all'interno del Civico Museo Storico Archeologico di Savona; collabora con diversi siti e fa parte della redazione del Didaweb (www.didaweb.net), un portale che lavora per una "scuola come territorio di incontro tra le culture, per la condivisione dei diritti e la valorizzazione delle differenze"] Il 23 ottobre si svolgera' in Brasile il referendum contro il commercio di armi, munizioni e accessori. Nel paese le armi "per difesa personale" sono innumerevoli, cosi' come le vittime: la popolazione del Brasile costituisce il 3% della popolazione mondiale, ma il numero delle persone uccise rappresenta l'8% della stessa popolazione. Nel 2004, senza che vi sia stato un conflitto, si e' registrato un morto ogni 15 minuti... bastano questi dati per capire l'entita' del fenomeno. E per comprendere come mai si tenga un referendum. Sarebbe interessante comprendere quale parte ha l'Italia, con le sue prospere industrie di morte, in questo enorme mercato, soprattutto dopo la revisione della legge 185/90 operata dal governo in carica, senza tenere in considerazione alcuna le richieste nonviolente e pacifiste. Ma torniamo al referendum che e' basato su un solo, inequivocabile, quesito: "il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni deve essere proibito in Brasile?". Anche gli schieramenti sono inequivocabili: da una parte alcuni potentati economici, settori dell'opposizione di destra al governo Lula. Dall'altra, i movimenti pacifisti, le organizzazioni non governative, i movimenti per i diritti umani e di base, le Chiese brasiliane. Il problema, per lo schieramento che sostiene il si', e' raggiungere la popolazione, una "maggioranza dei cittadini, ma una maggioranza difficile da raggiungere" come scrive Francesco Comina, "perche' e' una maggioranza di 'esuberi', come vengono definiti i poveri piu' poveri secondo i parametri economici. Sono i favelados, gli abitanti delle tante favelas, sono gli analfabeti dell'interno, gli anziani senza nulla, i tanti 'sem' (terra, lavoro, casa, ecc.). sono le vite rifiutate, travolte dal destino, interrate dallo squilibrio nord-sud, ammalate di poverta', perseguitate dalla violenza armata". Il fronte del si' alcune vittorie le ha gia' riportate: il referendum chiude un percorso iniziato due anni fa con l'approvazione dello Statuto per il disarmo e proseguito nel 2004 con la campagna per la consegna volontaria delle armi da fuoco. Il successo e' stato tale che il termine e' stato prorogato, e vi e' gia' stata la consegna di oltre 400.000 armi da fuoco che sono state quindi distrutte. * Per noi che non siamo in Brasile, il problema e' quello di dar vita a iniziative che possano aiutare il fronte del si' a vincere questa difficile battaglia: come sovente accade, l'avversario e' dotato di mezzi e denaro, e cerchera' forse di agitare lo spauracchio di dipingere i fautori del si' come coloro che vogliono lasciare la gente per bene in balia dei criminali. Al contrario, il si' puo' contare solo sui propri mezzi. Per sostenre dall'Italia l'iniziativa referendaria brasiliana una prima proposta e' quella di diffondere la notizia scrivendo ai giornali, alle mailing list, ai siti internet, alle radio e alle televisioni (finora ho letto, a proposito del referendum, solo un accenno sul quotidiano "La Repubblica", ma la ricerca non e' stata certo esaustiva). Il pressing puo' essere anche rivolto ai siti e alle riviste religiose on line (e non solo quelle cattoliche, come "Nigrizia", ma anche a quelle di altre confessioni, dagli islamici ai protestanti), ed essere esteso ai siti di intercultura... Senza dimenticare i partiti politici italiani per far si' che intervengano nei cofnronti dei loro omologhi brasiliani. 7. 23 OTTOBRE. ANGELA GIUFFRIDA: SI' [Ringraziamo Angerla Giuffrida (per contatti: frida43@inwind.it) per questo intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002] Tutti coloro che hanno veramente a cuore la sopravvivenza della specie non possono fare a meno di sostenere il referendum che il 23 ottobre prossimo, in Brasile, chiedera' l'abolizione del commercio delle armi da fuoco. Naturalmente anch'io dico di si' e anch'io sono d'accordo con quanti ritengono che la mobilitazione contro le armi debba avere alla base e sviluppare progressivamente quell'attenzione per la vita, senza la quale eliminare la guerra e' e restera' un'utopia. Io credo, pero', che mobilitarsi per la vita comporti la piena consapevolezza del fatto che le comunita' patricentriche non si organizzano attorno alla vita e alla cura della specie. Il loro fine, non dichiarato ma autoevidente, e' garantire agli uomini il dominio sulle donne e, all'interno del genere maschile, assicurarlo ai piu' prepotenti. Questo modello regge da millenni e tutti i tentativi di modificazione fin qui agiti non hanno avuto successo, ne' potranno averlo in futuro se il punto di vista che governa il mondo restera' quello del dominante. A me pare che gli uomini, anche quelli che dedicano la loro vita alla nobile causa della pace, non siano disposti a metterlo seriamente in discussione. Non mi sembra, infatti, che figuri nell'agenda di qualche partito o movimento la messa in discussione dello sfruttamento del lavoro di cura, praticato da tutti gli stati, anche da quelli che si vogliono democratici e si ritengono detentori di una "superiore civilta'"; ne' mi pare di scorgereun seppur timido tentativo di ricercare nello strapotere maschile, di cui le comunita' umane sono la diretta emanazione, la causa non dico di tutti, ma almeno di alcuni mali che le affliggono, come ad esempio l'eccessiva conflittualita'. Il fatto che ci sia un'indebita "occupazione" di tali comunita' da parte di un genere che crede di avere il diritto di prelazione nel governo delle stesse, senza dover coinvolgere o semplicemente rendere conto del proprio operato a quel genere a cui la specie deve l'esistenza in vita, non appare al maschio umano ingiusto e contraddittorio. D'altronde egli non considera anomalo neanche il fatto che il suo genere, mentre pretende e di fatto detiene tutto il potere, non sia disposto ad assumersi la relativa responsabilita', neanche quando si parla della guerra che e', al di la' di ogni ragionevole dubbio, il mestiere degli uomini e un parto della loro mente. Ora, fintantoche' il fuoco dei sistemi sociali sara' occupato dal dominio, non dalla cura, non c'e' modo di realizzare la pace sulla terra. Poiche' le donne producono la vita e il loro mestiere e' sostenerla, hanno sviluppato per forza di cose categorie mentali favorevoli a questo scopo e possono dare un contributo insostituibile all'organizzazione di comunita' centrate sulla persona, percio' tutti gli espedienti volti ad impedire loro la piena partecipazione politica sono profondamente irrazionali perche' disfunzionali alla vita della specie. Il silenzio degli uomini sullíemarginazione, sullo sfruttamento e sulle persecuzioni a cui sottopongono le donne (basti pensare che la principale causa di morte e di invalidita' per le donne dai 16 ai 44 anni nel mondo e' la violenza domestica), vanifica ogni loro azione volta a mettere in atto la pace e la giustizia. Se davvero essi vogliono mobilitarsi per la vita, la prima guerra su cui devono interrogarsi e' quella di genere, perche' condurre una guerra contro le madri della specie significa fare tout court la guerra alla vita. 8. 23 OTTOBRE. GIANNOZZO PUCCI: SI' [Ringraziamo Giannozzo Pucci (per contatti: redazione@ecologist.it) per questo intervento. Giannozzo Pucci, amico della nonviolenza, saggista, tra i fondatori in Italia del movimento ambientalista ed antinucleare e del movimento per l'agricoltura organica, ha fondato ed e' presidente dell'Associazione di solidarieta' per la campagna italiana, ha promosso l'esperienza della Fierucola, e' presidente dell'Associazione internazionale "Fioretta Mazzei". Consigliere comunale di Firenze dal 1990, e' stato per sei anni presidente della Commissione urbanistica; ha collaborato a vari giornali e riviste; cura la collana editoriale dei "Quaderni d'Ontignano", ed anima attualmente la Libreria Editrice Fiorentina, la prestigiosa casa editrice che ha pubblicato le opere di Giorgio La Pira e Lorenzo Milani] Poter votare per la prima volta al mondo per vietare la produzione e il commercio delle armi, sembra una grandissima cosa e la tentazione di applaudire irresistibile. * Le obiezioni Ma il referendum in generale non e' uno strumento di democrazia diretta, specialmente in una societa' di massa e utilizzato su larga scala in un paese intero. Salvo rarissimi casi, la politica vince sempre sul referendum. Vale a dire che se il risultato del voto sara' si' alla proibizione della produzione e commercio delle armi, c'e' da temere che gli industriali e i commercianti troveranno il modo di aggirare l'ostacolo; peggio ancora se il risultato dovesse essere il contrario. * Quello che conta Non esiste democrazia diretta separata da una cultura, una politica, un'economia e una comunita' vitale, dove gli argomenti su cui decidere fanno parte di una riflessione comune fra vecchi e giovani, uomini e donne, gente di ogni strato sociale, con un'unanimita' comunitaria e culturale di fondo e tempi lunghi per decidere. * Perche' si' Cio' non toglie che in questo caso particolare c'e' la possibilita' che se vince il fronte del si' al divieto delle armi questa specifica espressione possa rappresentare una presa del potere sull'identita' del Brasile da parte della grandi masse dei poveri e questo potrebbe farne uno di quei rarissimi casi di referendum che vince, almeno a livello di bandiera culturale, sulla politica. 9. 23 OTTOBRE. CLAUDIO TUGNOLI: SI' [Ringraziamo Claudio Tugnoli (per contatti: tugnoli@iprase.tn.it) per questo intervento. Claudio Tugnoli e' studioso di filosofia, educatore e saggista, particolarmente attento ai temi epistemologici, religiosi, morali; impegnato per la pace e i diritti umani, ha dato un grande contributo alla promozione di una cultura della nonviolenza. Opere di Claudio Tugnoli: La dialettica dell'esistenza. L'hegelismo eretico di John McTaggart, Angeli, Milano 2000; AA.VV. (a cura di), Tra il dire e il fare. L'educazione alla prassi dei diritti umani, Angeli, Milano 2000; AA.VV. (a cura di), Diacronia e sincronia. Saggi sulla misura del tempo, Angeli, Milano 2000; AA. VV. (a cura di), Maestri e scolari di nonviolenza, Angeli, Milano 2000; Girard. Dal mito ai Vangeli, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2001] Da piu' parti e da tempo si chiede che l'atto di nascita dell'unita' europea sia accompagnato dal riconoscimento esplicito dell'identita' cristiana dell'Europa. Senza affrontare la questione di un'identita' europea non solo multipla (greca, romana, giudaica, islamica, illuminista; per altri celtica, etrusca, longobarda, bizantina o normanna), ma anche in evoluzione nel corso dei secoli (nessuna identita', individuale o collettiva, e' semplice e immobile: cio' che vale per il passato perche' non dovrebbe valere anche per il futuro?), mi limito a osservare che il contenuto piu' universale dell'identita' cristiana e' la difesa delle vittime della violenza, dell'ingiustizia e di ogni forma di oppressione. L'identita' cristiana, in questo senso, e' l'identita' del mondo intero, non solo dell'Europa. Se l'affermazione dell'identita' cristiana dell'Europa deve diventare la premessa ideologica per costruire un'identita' "vittimaria" che ripete il rito sacrificale del tutti contro uno, se si vuole un'identita' prestabilita come collante della federazione in modo che l'esclusione rafforzi l'armonia a spese di qualche terzo, allora bisogna riconoscere che questo sarebbe il modo migliore per tradire l'essenza del cristianesimo e il senso profondo della rivoluzione dei vangeli. L'identita' cristiana dell'Europa puo' dispiegarsi in tutte le sue conseguenze solo universalizzando il contenuto autentico dei vangeli e facendo proprio il riconoscimento dell'innocenza della vittima. Questo soltanto puo' diventare il veicolo di un dialogo proficuo tra le diverse religioni, identita' e culture, sia in Europa che nel mondo. * Ovunque nel mondo, si puo' dire, si parla, si scrive e ci si atteggia in nome della necessita' ineludibile di prendere la difesa delle vittime. Tuttavia, nonostante il disvelamento irreversibile del meccanismo espiatorio giunto a compimento nella tradizione evangelica, le persecuzioni e le violenze piu' arbitrarie si commettono in nome della verita' dell'innocenza della vittima, tradendo in tal modo l'insegnamento unico e irripetibile della rivelazione cristiana. In nome di Dio, anche del Dio cristiano, in nome dell'identita' e nella persuasione di operare in difesa di vittime inermi, si sono commessi e si commettono crimini e genocidi. Si assiste quindi alla piu' plateale incongruenza tra la coscienza della verita' riguardo la vittima e il comportamento che di fatto si adotta nei confronti del prossimo. La previsione di un mondo conflittuale nel quale l'unica salvezza possibile e' quella che passa attraverso la difesa preventiva ha come logica conseguenza la produzione e il commercio di armi sempre piu' sofisticate e sempre piu' micidiali. La diffusione e l'uso delle armi sono insieme causa ed effetto del male che un numero crescente di persone nel mondo si illude di combattere: la violenza distruttiva. Anche la natura puo' scatenare forze distruttive, come dimostrano terremoti, tsunami e uragani. E alla fine dobbiamo tutti morire. Ma chi usa questi argomenti ha una visione naturalistica dell'uomo, non comprende il significato della responsabilita' morale; non capisce che l'uomo e' si' parte della natura come qualsiasi vivente di ogni altra specie, ma al tempo stesso puo' rivendicare una differenza qualitativa nel fatto di poter evolvere non solo come specie ma anche come individuo. Il commercio delle armi, dalla produzione all'acquisto, mantiene la convivenza civile a un livello naturalistico perche' la tranquillita' che assicura e' quella determinata dall'equilibrio del terrore reciproco e della minaccia incrociata. La rinuncia alle armi, conseguente al risveglio spirituale che i vangeli hanno inaugurato e la Chiesa si sforza di mantenere vivo nel mondo, e' il solo comportamento davvero significativo sul piano morale e religioso. La sola decisione che istituisce una concordanza perfetta tra cio' che gli uomini pensano e ci' che fanno, tra coscienza e comportamento esteriore, tra il mezzo e il fine. * E' dimostrato che il possesso delle armi e' concausa dei conflitti e della loro escalation. Lo scontro armato non risolve le contese tra stati o tra individui, che sono il vero problema, ma li salta e li esalta. Il mezzo, l'uso delle armi, e' in contraddizione rispetto al fine che si intende perseguire. Cosi' un uomo che soffre di solitudine puo' illudersi di venire a capo del proprio isolamento attraverso la pratica dell'edonismo sessuale o moltiplicando le sue immersioni in folle anonime dove, come nelle tifoserie calcistiche, l'individuo e' azzerato (in senso purtroppo anche fisico) dall'obbligatoria appartenenza a un club, dall'identificazione con una squadra che deve battere (anche in questo caso fisicamente) la squadra avversaria. Tale comportamento si rivela inadeguato rispetto allo scopo (il superamento della solitudine) e persino all'origine di un esito opposto. Manca quindi una cultura della riflessione, che permetta di individuare il vero problema - il conflitto, la solitudine o altro - al fine di risolverlo in modo davvero radicale. L'uso delle armi in generale e di quelle da fuoco in particolare (che, dopo il bando dagli schermi cinematografici delle sigarette e dell'alcol, sono diventate spesso i soli protagonisti che "dialogano" e fanno accadere qualcosa) presuppone che l'obiettivo sia quello di eliminare i contendenti e non la contesa. L'impegno a mettere al bando le armi da fuoco implica l'assunzione di responsabilita' rispetto al problema del conflitto, della competizione e, in generale, dell'armonia indispensabile tra individuo e collettivita' quale condizione della dignita' morale dei singoli e del senso della vita associata. 10. INIZIATIVE. MICHAEL MOORE: AIUTIAMO CINDY [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 settembre 2005. Michael Moore, una delle figure piu' vivaci ed acute del pacifismo americano, e' regista cinematografico; giornalista e scrittore. Dal sito della casa editrice Feltrinelli riprendiamo la seguente scheda: "Michael Moore e' il piu' famoso e brillante regista di documentari degli Stati Uniti. Nato nel 1954 a Flint, nel Michigan, ha lavorato per diversi anni come giornalista in riviste indipendenti, per poi passare al cinema. Ha scritto, diretto e prodotto Roger e io (New York Film Critics Circle Award 1989), Bowling a Columbine (Premio speciale della giuria al festival di Cannes 2002 e Oscar come miglior documentario 2003). Fahrenheit 9/11 ha vinto la Palma díoro al festival di Cannes 2004 e, in una settimana, ha incassato piu' di qualsiasi altro documentario nella storia. Moore e' autore di best seller quali Stupid White Men (Mondadori 2003) e Come hai ridotto questo paese? (Mondadori 2003). Ha inventato alcune fortunate serie televisive satiriche". Tra i libri di Michael Moore: Stupid White Men, Mondadori, Milano 2003; Ma come hai ridotto questo paese?, Mondadori, Milano 2003; Giu' le mani!, Mondadori, Milano 2004; L'esecuzione, Mondadori, Milano 2004; Ingannati e traditi. Lettere dal fronte, Mondadori, Milano 2005. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; dal 6 agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio] Amici, c'e' molto da dire e da fare contro l'annientamento di New Orleans compiuto dall'uomo, causato non da un uragano ma dalle specifiche decisioni prese dall'amministrazione Bush negli ultimi quattro anni e mezzo. Non ascoltate chi dice che di questo possiamo discutere piu' tardi. No, non possiamo. Il nostro paese e' in uno stato immediato di vulnerabilita'. Arriveranno ancora uragani, guerre ed altri disastri, e una masnada indolente di pazzi autocompiaciuti sta ancora guidando il gioco. Percio', nei prossimi giorni, vi scrivero' su cosa bisogna fare riguardo a Bush & Co. Ma oggi voglio che, insieme a me, ignoriate l'amministrazione Bush, colossalmente inetta e incompetente, e portiate aiuto direttamente e subito agli abitanti di New Orleans. Molti mi hanno scritto chiedendomi cosa fare. Molti non sanno di chi fidarsi. Molti vogliono fare di piu' che firmare un assegno. Fate bene a pensare che firmare assegni per le agenzie di soccorso non servira' a portare acqua e aiuti agli sfollati nelle prossime 48 ore. Gli assegni serviranno piu' tardi. C'e' pero' un modo in cui ciascuno di noi puo' fare qualcosa che avra' un effetto sulla vita delle persone oggi. In questi giorni ho lavorato con un gruppo che aiutera' direttamente le persone che ne hanno piu' bisogno. Cindy Sheehan, la donna coraggiosa che ha osato sfidare il signor Bush nella sua residenza estiva, ha ora inviato il suo Camp Casey, dal ranch di Bush, ai dintorni di New Orleans. I Veterans for Peace hanno preso tutto l'equipaggiamento e i volontari e hanno allestito un campo a Covington, Louisiana, sulla riva del lago Pontchartrain. Stanno accettando materiale e lo distribuiscono personalmente a chi ne ha bisogno. E' qui che interveniamo noi. Dobbiamo spedirgli i rifornimenti immediatamente. Oggi loro hanno bisogno di quanto segue: piatti di carta, tovaglioli di carta, carta igienica, pannolini per bambini, fazzoletti detergenti per bambini, alimenti per bambini, Pedialyte, articoli per bambini in generale, talco, lozione, fazzoletti detergenti, guanti sterili, sali minerali, scatole grandi di verdure, articoli per la scuola, e qualsiasi altra cosa che possa sollevare il morale alla gente. Potete spedire queste cose seguendo le istruzioni su VFPRoadTrips.org. Oppure potete consegnarle personalmente. Le strade per Covington sono aperte. Potete arrivare la'. Potete lasciarle, oppure restare e partecipare (se restate, dovrete accamparvi percio' portate tenda, attrezzatura e spray per zanzare). Se non potete spedire queste cose o andare la' di persona, allora andate su VFPRoadTrips.org e fate una donazione immediata attraverso PayPal. Quelli di Camp Casey-Covington avranno accesso immediato a questo denaro e potranno comperare loro stessi questi articoli nei negozi che sono aperti in Louisiana (tutte le donazioni a Veterans for Peace sono deducibili dalle tasse). Ogni giorno mettero' on-line informazioni aggiornate su cosa serve, e i progressi fatti a Camp Casey. Vi prego di visitare spesso MichaelMoore.com Molti altri gruppi stanno facendo anch'essi un buon lavoro. MoveOn.org ha organizzato un servizio per le persone che offrono ai sopravvissuti una stanza nella propria casa. Non c'e' tempo da perdere. La gente sta soffrendo e morendo. 11. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: LE GUERRE MENTONO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 settembre 2005. Eduardo Galeano e' nato nel 1940 a Montevideo (Uruguay); giornalista e scrittore, nel 1973 in seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal suo paese; ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura. Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Tra le sue opere, fondamentali sono: Le vene aperte dell'America Latina, recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco, Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra gli altri suoi libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes, Mondadori, Milano] - Ma il motivo... disse il signor Duval. Un uomo non uccide per niente. - Il motivo? rispose Ellery, stringendosi nelle spalle. Lei il motivo lo conosce. (Ellery Queen, Avventura nella Casa delle Tenebre) Le guerre dicono di esserci per nobili ragioni: la sicurezza internazionale, la dignita' nazionale, la democrazia, la liberta', l'ordine, il mandato della Civilta' o la volonta' di Dio. Nessuno ha l'onesta' di confessare: "Io uccido per rubare". In Congo, nel corso della guerra dei quattro anni che e' in sospeso dalla fine del 2002, sono morti non meno di tre milioni di civili. Sono morti per il coltan, ma neppure loro lo sapevano. Il coltan e' un minerale raro, e il suo strano nome designa la mescolanza di due rari minerali chiamati columbio e tantalio. Il coltan valeva poco o nulla, finche' si scopri' che era imprescindibile per la fabbricazione di telefoni cellulari, navi spaziali, computer e missili; e allora e' diventato piu' caro dell'oro. Quasi tutte le riserve conosciute di coltan sono nelle sabbie del Congo. Piu' di quarant'anni fa, Patrice Lumumba fu sacrificato su un altare d'oro e di diamanti. Il suo paese torna ad ucciderlo ogni giorno. Il Congo, paese poverissimo, e' molto ricco di minerali, e questo regalo della natura continua a rivelarsi una maledizione della storia. Gli africani chiamano il petrolio "merda del diavolo". Nel 1978 venne scoperto il petrolio nel sud del Sudan. Si sa che sette anni dopo le riserve erano gia' piu' del doppio, e la maggior quantita' giace nell'ovest del paese, nella regione del Darfur. La', di recente, c'e' stata, e continua a esserci, un'altra strage. Molti contadini neri, due milioni secondo alcune stime, sono fuggiti o sono stati uccisi dai proiettili, dai coltelli o dalla fame, al passaggio delle milizie arabe che il governo appoggia con carri armati ed elicotteri. Questa guerra si traveste da conflitto etnico e religioso fra i pastori arabi, islamici, e i contadini neri, cristiani e animisti. Ma il fatto e' che i villaggi incendiati e i campi distrutti erano dove adesso cominciano ad ergersi le torri petrolifere che perforano la terra. La negazione dell'evidenza, ingiustamente attribuita agli ubriachi, e' la piu' nota abitudine del presidente del pianeta, che, grazie a dio, non beve nemmeno un goccio. Lui continua ad affermare che la sua guerra in Iraq non ha niente a che vedere con il petrolio. "Ci hanno ingannato occultando sistematicamente informazioni", scriveva dall'Iraq, nel lontano 1920, un certo Lawrence d'Arabia: "Il popolo inglese e' stato portato in Mesopotamia per cadere in una trappola dalla quale sara' difficile uscire con dignita' e con onore". Lo so che la storia non si ripete, ma a volte ne dubito. E l'ossessione contro Chavez? Non ha proprio niente a che vedere con il petrolio del Venezuela questa campagna forsennata che minaccia di uccidere, in nome della democrazia, il "dittatore" che ha vinto nove elezioni pulite? E le continue grida d'allarme per il pericolo nucleare iraniano non hanno proprio niente a che vedere con il fatto che l'Iran contenga una delle riserve di gas piu' ricche del mondo? E se no, come si spiega la faccenda del pericolo nucleare? E' stato forse l'Iran il Paese che ha gettato le bombe nucleari sulla popolazione civile di Hiroshima e Nagasaki? L'impresa Bechtel, con sede in California, aveva ricevuto in concessione, per quarant'anni, l'acqua di Cochabamba. Tutta l'acqua, compresa l'acqua piovana. Non appena si fu installata, triplico' le tariffe. Scoppio' una rivolta popolare e l'impresa dovette andarsene dalla Bolivia. Il presidente Bush si impietosi' per l'espulsione, e la consolo' concedendole l'acqua dell'Iraq. Davvero generoso da parte sua. L'Iraq non e' degno di essere distrutto solo per la sua favolosa ricchezza petrolifera: questo paese, irrigato dal Tigri e dall'Eufrate, si merita il peggio anche perche' e' la pozza d'acqua dolce piu' ricca di tutto il Medio Oriente. Il mondo e' assetato. I veleni chimici imputridiscono i fiumi e la siccita' li stermina, la societa' dei consumi consuma sempre piu' acqua, l'acqua e' sempre meno potabile e sempre piu' scarsa. Tutti lo sanno: le guerre del petrolio saranno, domani, guerre dell'acqua. In realta', le guerre dell'acqua sono gia' in corso. Sono guerre di conquista, ma gli invasori non gettano bombe, ne' fanno sbarcare truppe. I tecnocrati internazionali, che mettono i paesi poveri in stato d'assedio ed esigono privatizzazione o morte, viaggiano in abiti civili. Le loro armi, mortali strumenti di estorsione e di castigo, non si vedono e non si sentono. La Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, due ganasce della stessa morsa, hanno imposto, in questi ultimi anni, la privatizzazione dell'acqua in sedici paesi poveri. Fra essi, alcuni dei piu' poveri del mondo, come il Benin, la Nigeria, il Mozambico, il Ruanda, lo Yemen, la Tanzania, il Camerun, l'Honduras, il Nicaragua... L'argomento era irrefutabile: o consegnano l'acqua o non ci sara' clemenza per i debiti o nuovi prestiti. Gli esperti hanno anche avuto la pazienza di spiegare che non lo facevano per smantellare sovranita' nazionali, bensi' per aiutare la modernizzazione dei paesi che languivano nell'arretratezza per l'inefficienza dello stato. E se le bollette dell'acqua privatizzata non potevano essere pagate dalla maggioranza della popolazione, tanto meglio: magari cosi' si sarebbe finalmente svegliata la loro assopita volonta' di lavoro e di superamento personale. Chi comanda in democrazia? I funzionari internazionali dell'alta finanza, che nessuno ha votato? Alla fine dell'ottobre dell'anno scorso, un referendum ha deciso il destino dell'acqua in Uruguay. La maggior parte della popolazione ha votato, con una maggioranza mai vista, confermando che l'acqua e' un servizio pubblico e un diritto di tutti. E' stata una vittoria della democrazia contro la tradizione dell'impotenza, che ci insegna che siamo incapaci di gestire l'acqua o qualsiasi altra cosa, e contro la cattiva fama della proprieta' pubblica, screditata dai politici che l'hanno usata e maltrattata come se cio' che e' di tutti non fosse di nessuno. Il referendum dell'Uruguay non ha avuto nessuna ripercussione internazionale. I grandi media non sono venuti a conoscenza di questa battaglia della guerra dell'acqua, persa da quelli che vincono sempre; e l'esempio non ha contagiato nessun paese del mondo. Questo e' stato il primo referendum dell'acqua e finora, che si sappia, e' stato anche l'ultimo. 12. MEMORIA. OMERO DELLISTORTI: PER FRANCA ONGARO BASAGLIA [Franca Ongaro Basaglia, intellettuale italiana di straordinario impegno civile, pensatrice di profondita', finezza e acutezza straordinarie, insieme al marito Franco Basaglia e' stata tra i protagonisti del movimento di psichiatria democratica; e' deceduta nel gennaio 2005. Tra i suoi libri segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982; Manicomio perché?, Emme Edizioni, Milano 1982; Una voce: riflessioni sulla donna, Il Saggiatore, Milano 1982; in collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante, Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato anche a L'istituzione negata, Che cos'e' la psichiatria, e a molti altri volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia. Dalla recente antologia di scritti di Franco Basaglia, L'utopia della realta', Einaudi, Torino 2005, da lei curata, riprendiamo la seguente notizia biobibliografica, redatta da Maria Grazia Giannichedda, che di entrambi fu collaboratrice: "Franca Ongaro e' nata nel 1928 a Venezia dove ha fatto studi classici. Comincia a scrivere letteratura infantile e i suoi racconti escono sul "Corriere dei Piccoli" tra il 1959 e il 1963 insieme con una riduzione dell'Odissea, Le avventure di Ulisse, illustrata da Hugo Pratt, e del romanzo Piccole donne di Louise May Alcott. Ma sono gli anni di lavoro nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, con il gruppo che si sta raccogliendo attorno a suo marito Franco Basaglia, a determinare la direzione dei suoi interessi e del suo impegno. Nella seconda meta' degli anni '60 scrive diversi saggi con Franco Basaglia e con altri componenti del gruppo goriziano e due suoi testi - "Commento a E. Goffman. La carriera morale del malato di mente" e "Rovesciamento istituzionale e finalita' comune" - fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano il lavoro di apertura dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos'e' la psichiatria (1967) e L'istituzione negata (1968). E' sua la traduzione italiana dei testi di Erving Goffman Asylums e Il comportamento in pubblico, editi da Einaudi rispettivamente nel 1969 e nel 1971 con saggi introduttivi di Franco Basaglia e Franca Ongaro, che traduce e introduce anche il lavoro di Gregorio Bermann La salute mentale in Cina (1972). Dagli anni '70 Franca Ongaro e' coautrice di gran parte dei principali testi di Franco Basaglia, da Morire di classe (1969) a La maggioranza deviante (1971), da Crimini di pace (1975) fino alle Condotte perturbate. Nel 1981 e 1982 cura per Einaudi la pubblicazione dei due volumi degli Scritti di Franco Basaglia. Franca Ongaro e' anche autrice di volumi e saggi di carattere filosofico e sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie, sulla bioetica, la condizione della donna, le pratiche di trasformazione delle istituzioni totali. Tra i suoi testi principali, i volumi Salute/malattia. Le parole della medicina (Einaudi, Torino 1979), raccolta delle voci di sociologia della medicina scritte per l'Enciclopedia Einaudi; Una voce. Riflessioni sulla donna (Il Saggiatore, Milano 1982) che include la voce "Donna" dell'Enciclopedia Einaudi; Manicomio perche'? (Emme Edizioni, Milano 1982); Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui medesimo (Editori Riuniti, Roma 1987). Tra i saggi, Eutanasia, in "Democrazia e Diritto", nn. 4-5 (1988); Epidemiologia dell'istituzione psichiatrica. Sul pensiero di Giulio Maccacaro, in Conoscenze scientifiche, saperi popolari e societa' umana alle soglie del Duemila. Attualita' del pensiero di Giulio Maccacaro, Cooperativa Medicina Democratica, Milano 1997; Eutanasia. Liberta' di scelta e limiti del consenso, in Roberta Dameno e Massimiliano Verga (a cura di), Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella societa' contemporanea, Angelo Guerrini, Milano 2001. Dal 1984 al 1991 e' stata, per due legislature, senatrice della sinistra indipendente, e in questa veste e' stata leader della battaglia parlamentare e culturale per l'applicazione dei principi posti dalla riforma psichiatrica, tra l'altro come autrice del disegno di legge di attuazione della "legge 180" che diventera', negli anni successivi, testo base del primo Progetto obiettivo salute mentale (1989) e di diverse disposizioni regionali. Nel luglio 2000 ha ricevuto il premio Ives Pelicier della International Academy of Law and Mental Health, e nell'aprile 2001 l'Universita' di Sassari le ha conferito la laurea honoris causa in Scienze politiche. E' morta nella sua casa di Venezia il 13 gennaio 2005"] Sempre sentii che era Franca Ongaro la mente filosofica piu' viva degli anni e le rotture che in quel tempo compiere fu mestieri. E sempre seppi che con sguardo e con voce di donna si sarebbe visto e detto l'essenziale. Sempre seppi che la lotta contro il male deve salvare tutti, deve infrangere le intime catene e le esteriori e che la lotta contro le totali istituzioni questo ci insegnava: a contrastare a un tempo la miseria e dittatura, guerra e patriarcato e l'apartheid che ancora impera e opprime e la paura e la violenza sempre. Lo seppi sempre, Franca Ongaro Basaglia di tutti i miei maestri la maestra fu piu' segreta, e l'ultima e la prima. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta@sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviiolenta presente in Itala: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir@peacelink.it, luciano.benini@tin.it, sudest@iol.it, paolocand@inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info@peacelink.it |