Bollettino Quotidiano della pace
Pubblicata in data 13/9/2005


Sommario di questo numero:
1. Il giorno 11 del mese di settembre
2. Dal dire al fare
3. Anna Bravo: Si'
4. Nadia Cervoni: Si'
5. Angela Dogliotti Marasso: Si'
6. Giuliano Falco: Si'
7. Angela Giuffrida: Si'
8. Giannozzo Pucci: Si'
9. Claudio Tugnoli: Si'
10. Michael Moore: Aiutiamo Cindy
11. Eduardo Galeano: Le guerre mentono
12. Omero Dellistorti: Per Franca Ongaro Basaglia
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. IL GIORNO 11 DEL MESE DI SETTEMBRE
Ricordo: quell'undici settembre del 1973. Ero giovane allora, ma anche al
mio paese giunse presto la notizia. Non ho dimenticato.
Ricordo: quell'undici settembre del 2001. Ero invecchiato ormai, neanche
questo orrore mi fu risparmiato.
Ma quest'undici settembre 2005, lungo la strada tra Perugia e Assisi, ho
visto e ho sentito tanti volti e tante voci in colloquio corale esprimere
chiara e forte questa semplice verita': che alle armi, alla guerra, al
terrorismo, all'uccidere tu, proprio tu, devi opporti; tu, proprio tu, devi
resistere. E solo cosi' l'umanita' si salva. E questa e' la nonviolenza. In
cammino.

2. EDITORIALE. DAL DIRE AL FARE
E' dall'inizio della storia, della storia delle uccisioni e delle guerre,
che si parla di disarmo.
Piu' cresce la potenza distruttiva delle armi e piu' si chiacchiera - ma si
chiacchiera solo - di disarmo: interminabilmente, fumosamente, inanemente.
Piu' orribili divengono le guerre, e piu' si convocano conferenze per il
disarmo, il cui esito nove volte su dieci e' finire in recriminazioni e
reciproche accuse, mentre il riarmo cresce e cresce ancor piu', e sempre
piu' l'apocalisse incombe sull'intera civilta' umana.
La guerra uccide, il disarmo resta chiacchiera da salotto, o partita a
scacchi: cominciare a disarmare io? No, comincia tu. E non comincia nessuno.
Strage dopo strage, orrore dopo orrore. Il piu' delle volte sono gli stessi
assassini che dismesso per un poco il grembiale del macellaio e insaccatisi
in compite gramaglie dal palco alti levano lai ai funerali dei figli della
patria, o recitano le geremiadi piu' appassionate e le piu' umide
perorazioni nei congressi per la pace; poi via di corsa che la  macelleria
non puo' attendere, tanto e' lucroso affare lo spaccio di carne umana.
*
In Brasile accade invece un miracolo. Il governo (dico: il governo, il
presidente della repubblica in persona) lancia una campagna per il disarmo
invitando i cittadini a consegnare le armi da fuoco alle autorita' affinche'
siano distrutte. In un anno si salvano piu' di tremila vite umane, si
rovescia la tendenza per tredici anni costantemente in crescita delle
persone uccise da armi da fuoco (ogni anno un'ecatombe, in quel paese).
Ma non basta: chiede al popolo di votare: volete che sia proibito il
commercio delle armi?
Che tradotto in buon toscano significa anche: Volete salvare migliaia e
migliaia di vite umane? Volete poter vivere anziche' morire? Volete
disarmare gli assassini? Volete dare una mano per migliorare l'umanita' e il
mondo, che e' la nostra casa comune, l'unica che abbiamo?
E il 23 ottobre si vota, ed e' la prima volta nella storia dell'umanita' che
un popolo prende nelle sue mani una decisione cosi' cruciale e puo' decidere
di farla finita con gli omicidi, puo' decidere di indicare una via di
salvezza per l'intero genere umano: il disarmo, la gestione nonviolenta dei
conflitti, la convivenza - la civile convivenza, l'umana convivenza - come
metodo e come sistema.
*
Dobbiamo sostenere le nostre sorelle e i nostri fratelli che in Brasile in
queste settimane stanno cercando di far sapere a tutte e tutti la verita' di
Abele e di Caino, stanno impegnandosi affinche' vinca il si' all'umanita',
il si' al dirittto a vivere, il si' al disarmo; dobbiamo metterci anche noi
al servizio del popolo brasiliano che in questo momento, con questa
decisione, puo' fare un dono grande all'umanita' intera.
E dunque chiunque puo' fare qualcosa di buono e quindi di utile, agisca: per
far crescere anche qui e ovunque l'informazione e la coscientizzazione; per
raccogliere e inviare aiuti materiali alla campagna brasiliana per il si'.
Adesso.
*
Per sostenere la campagna per il "si'" al referendum brasiliano si puo'
contattare Francesco Comina in Italia (e-mail: f.comina@ladige.it) e padre
Ermanno Allegri in Brasile (e-mail: ermanno@adital.com.br, sito:
www.adital.com.br); per molte utili informazioni visitare il siuto
www.referendosim.com.br
In queste settimane il nostro foglio ospitera' le dichiarazioni di sostegno
al si' al referendum brasiliano delle persone che avranno la bonta' di voler
intervenire, le sollecitiamo e le ringraziamo tutte fin d'ora.

3. 23 OTTOBRE. ANNA BRAVO: SI'
[Ringraziamo Anna Bravo (per contatti: anna.bravo@iol.it) per questo
intervento. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a
Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne,
di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura
dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a
convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico
che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned
(Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa'
italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico
della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre
istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo:  (con Daniele Jalla), La vita
offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza,
Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di
memoria della deportazione dall'Italia,  Angeli, Milano 1994; (con Anna
Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza,
Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal
Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria.
Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita
Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne
nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il
Mulino, Bologna 2003]

Il referendum del 23 ottobre si fonda su argomentazioni forti, come l'uso
delle armi da parte di organizzazioni criminali, come il carattere
"umanizzante" che ha storicamente avuto il passaggio al monopolio statale
della forza.
Fra le osservazione dei promotori che mi hanno colpito di piu', insieme ai
dati sulle morti per arma da fuoco, c'e' la domanda finale: volete un paese
dove ogni giorno 108 persone vengono uccise, o un paese che valorizza la
vita e cerca soluzioni collettive attraverso la sicurezza pubblica?
*
Secondo gli oppositori del referendum, invece, la proibizione e' tipica
delle dittature, che disarmano i cittadini e armano le proprie milizie -
l'esempio citato e' il III Reich... Ma qui e' necessaria qualche
precisazione.
In primo luogo, e' noto che alla persecuzione degli ebrei e alla dissuasione
dal portare loro aiuto, provvedeva la burocrazia del terrore - Gestapo,
polizia ufficiale, e "servizio di sicurezza" delle SS - che aveva steso su
tutta la societa' una rete di sorveglianza resa ancora piu' spaventosa
dall'atmosfera di mistero, dalla segretezza delle procedure, dalla gamma
amplissima delle accuse e dalla loro vaghezza. In secondo luogo, e' ovvio
che fra totalitarismi e democrazie c'e' un abisso, ma quell'abisso ha
origine prioritariamente nella distruzione delle strutture della coesione
sociale: in Germania, citta' e campagne pullulavano di club sportivi,
religiosi, patriottici, amatoriali, di associazioni filantropiche, di
cooperative di consumo e di mutuo soccorso. All'inizio del 1933 nella
cittadina di Nordheim c'erano 161 diversi club (uno per ogni sessanta
abitanti), 161 luoghi dove stare e agire insieme, crearsi giudizi su fatti e
persone, cercare soluzioni collettive. Entro la fine del 1933, tutte le
associazioni della socialdemocrazia vengono eliminate; delle societa' e club
non di partito, alcuni sono sciolti, altri riassorbiti nelle organizzazioni
naziste, praticamente tutti finiscono sotto controllo. Nella nuova societa',
non devono piu' esistere gruppi sociali indipendenti ne' rapporti fra
individui, se non attraverso l'intermediazione dello Stato e del dirigente
nazista che lo incarna. "Non c'era piu' vita sociale; non si poteva neanche
avere una bocciofila", racconta un protagonista del libro di William
Sheridan Allen sui metodi di radicamento del partito. All'individuo non
restano che i rapporti obbligati e massificati nelle organizzazioni di
regime. Le armi non c'entrano.
*
Fra le argomentazioni pro-abolizione, vorrei riprenderne una, di Dacia
Maraini, sul rischio di delitti privati. Nessuno di noi e' al riparo
dall'esplosione di collera, dal cortocircuito fra minaccia (o aggressione)
subita e reazione violenta, dalla voglia di far male che scatta davanti alle
ingiustizie e alle crudelta' commesse contro i piu' deboli o contro chi ci
e' piu' caro. Non ci possiamo mai permettere di dimenticare che il tasso di
violenza diffuso puo' contagiare chiunque; e che si realizza non sotto forma
di raptus, termine abusato e deresponsabilizzante, ma come reazione
all'insopportabilita' di un gesto o di una situazione, e da questo trae una
sua aura di legittimita'.
Allora avere un'arma oppure no diventa decisivo, perche' la violenza in cui
possiamo cadere sia il piu' possibile limitata e reversibile. Almeno questo.
Penso alla violenza politica, ma non solo.
Ricordo che in un ciclo di lezioni qualcuno aveva detto a Gianni Sofri che
l'India era stata la terra della nonviolenza perche' il tasso di
distruttivita' era basso; e che Gianni aveva risposto: "al contrario, era
alto, e proprio per questo era stato importante lavorare per una coscienza
diversa". In fondo, in una societa' storicamente mite, che bisogno ci
sarebbe di predicare la mitezza?
Per questo hanno ragione i promotori del referendum a parlare di scelta fra
due modelli.

4. 23 OTTOBRE. NADIA CERVONI: SI'
[Ringraziamo Nadia Cervoni (per contatti: giraffan@tiscali.it) per questo
intervento. Nadia Cervoni e' impegnata nelle Donne in nero ed in numerose
iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza; dal 2002 e' impegnata
particolarmente sulla questione kurda/turca. Opere di Nadia Cervoni: con
Liana Bonelli, Teresa Quattrociocchi, Micaela Serino (a cura di), Con la
forza della nonviolenza. Voci di donne curde e turche, Promograph, Roma
2002]

Abolire il commercio delle armi da fuoco! La cosa e' talmente grandiosa che
il mio si' mi si strozza in gola. Grandiosa e necessaria per un'umanita'
dolente che vuole continuare ad avere voce. Accade in Brasile con il primo
referendum nella storia sul commercio delle armi. Se il referendum passera'
la giornata del 23 ottobre sara' un segno indelebile a cui non si potra' non
fare riferimento. Una striscia di futuro importante per tutti e tutte noi.
Il pensiero va a Gerusalemme da dove sono tornata di recente e dove accade
di camminare tra pistole infilate nella cinta e lambite dall'abbraccio di
bimbi attaccati ai pantaloni dei loro papa', e fucili a tracolla, qualche
volta anche due insieme, portati da giovani, ragazzi e ragazze; ogni tanto
una sosta per un saluto tra amici, pacche sulla spalla e il fucile dondola,
soste sul muretto e il fucile si appoggia. Mi sfiora la canna di un fucile,
come evitarla! Mi blocco, ho i brividi, "attenta, e' armato, e' armata".
Chi, dove, quanti sono?
Cominciamo dal Brasile, ma cominciamo veramente!

5. 23 OTTOBRE. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: SI'
[Ringraziamo Angela Dogliotti Marasso (per contatti: maradoglio@libero.it)
per questo intervento. Angela Dogliotti Marasso, rappresentante
autorevolissima del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del
Movimento Nonviolento, svolge attivita' di ricerca e formazione presso il
Centro studi "Sereno Regis" di Torino e fa parte della Commissione di
educazione alla pace dell'International peace research association; studiosa
e testimone, educatrice e formatrice, e' una delle figure piu' nitide della
nonviolenza in Italia. Tra le sue opere segnaliamo particolarmente
Aggressivita' e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; il saggio su
Domenico Sereno Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia -
Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999; con Maria Chiara Tropea, La mia
storia, la tua storia, il nostro futuro, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003;
Con Elena Camino (a cura di), Il conflitto: rischio e opportunita', Edizioni
Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004]

La Camera Federale brasiliana ha approvato il 6 luglio scorso il decreto
legislativo 1274/04, del Senato Federale, che autorizza una consultazione
popolare sul commercio delle armi da fuoco in Brasile. Pertanto, il 23
ottobre prossimo tutti i cittadini e le cittadine brasiliani tra i 18 e i 70
anni saranno chiamati a votare si' o no al seguente quesito referendario:
"Il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni deve essere proibito in
Brasile?" (vedi anche in proposito la lettera di Beatriz Cruz comparsa sul
n. 28 dell'8 settembre scorso di "Nonviolenza. Femminile plurale").
Sara' il primo referendum della storia del paese, nonche' il primo al mondo
su questo tema.
Sono andata a cercare sul sito www.referendumsim.com.br alcuni materiali
relativi al dibattito intorno a questa iniziativa e ho trovato una scheda
che argomenta alcune ragioni per votare si'.
Mi sembra che offrano spunti importanti e possano essere occasione di
riflessione anche per noi.
Eccone alcuni.
Nel 2003 in Brasile ci sono stati 108 morti al giorno per armi da fuoco
(circa 40.000 in un anno) e le armi da fuoco sono la prima causa di morte
tra i giovani maschi del paese.
Dei 17,5 milioni di armi che circolano in Brasile, il 90% e' posseduta da
civili.
Tenere armi in casa aumenta i rischi, anziche' la sicurezza. Infatti, da
studi effettuati, emerge che:
- due bambini tra 0 e 14 anni restano feriti accidentalmente ogni giorno;
- quando c'e' un'arma in casa, sono piu' le donne presenti in famiglia a
correre il rischio di essere ferite di quanto non lo sia un ladro: il 44%
degli omicidi commessi nei confronti delle donne avvengono con armi da fuoco
e i due terzi dei casi di violenza contro le donne hanno come autore il
marito o il compagno;
- in caso di assalto a mano armata, la reazione armata aumenta il rischio di
morte, come evidenzia una ricerca realizzata nello stato di Rio de Janeiro
(la possibilita' di morte in caso di reazione armata e' di 180 volte
superiore; quella di essere feriti e' di 57 volte superiore).
*
Le leggi sul controllo degli armamenti aiutano a diminuire i rischi per
tutti. In Australia, a cinque anni dall'entrata in vigore di una legge che
proibisce la vendita di armi da fuoco il tasso di omicidi e' calato del 50%;
uno studio Unesco pubblicato nel 2005 mostra che Australia, Inghilterra e
Giappone, dove le armi sono proibite, sono tra i paesi del mondo in cui si
muore meno per armi da fuoco, mentre gli Stati Uniti (vedi anche la denuncia
di Michael Moore), uno dei paesi in cui il commercio delle armi e' piu'
libero, sono anche uno dei paesi piu' violenti.
Proibire il commercio delle armi e' certamente solo il primo passo. Da solo
non risolve certo i problemi della criminalita'. Ma e' un passo fondamentale
nella direzione di una societa' piu' sicura.
Bisogna poi continuare a lavorare per stabilire dei trattati internazionali
sul controllo degli armamenti, migliorare il modo in cui si amministra la
giustizia (e lo stesso concetto di giustizia in ambito penale), cosi' come
e' fondamentale affrontare alla radice il problema delle disuguaglianze e
dell'ingiustizia sociale.
Mi pare che simili considerazioni valgano anche non solo per le nostre
societa' ma per l'intero sistema delle relazioni internazionali, se vogliamo
muoverci verso un futuro di riduzione dei sistemi offensivi, di transarmo e
di difesa civile non armata e nonviolenta come alternative alla guerra.

6. 23 OTTOBRE. GIULIANO FALCO: SI'
[Ringraziamo Giuliano Falco (per contatti: giulianofalco@libero.it) per
questo intervento. Giuliano Falco, nato nel 1958, impegnato per i dritti, la
solidarieta', la convivenza, la pace, e' insegnante di sostegno per scelta e
promuove iniziative volte a migliorare l'inserimento e l'integrazione delle
persone diversamente abili e degli alunni stranieri; opera altresi'
nell'ambito dell'intercultura, favorendo processi di convivenza con le
comunita' straniere nella zona di Albenga dove vive e lavora; ha fondato e
dirigo un centro a questi fini; cultore di archeologia, ha realizzato un
percorso per non vedenti all'interno del Civico Museo Storico Archeologico
di Savona; collabora con diversi siti e fa parte della redazione del Didaweb
(www.didaweb.net), un portale che lavora per una "scuola come territorio di
incontro tra le culture, per la condivisione dei diritti e la valorizzazione
delle differenze"]

Il 23 ottobre si svolgera' in Brasile il referendum contro il commercio di
armi, munizioni e accessori.
Nel paese le armi "per difesa personale" sono innumerevoli, cosi' come le
vittime: la popolazione del Brasile costituisce il 3% della popolazione
mondiale, ma il numero delle persone uccise rappresenta l'8% della stessa
popolazione. Nel 2004, senza che vi sia stato un conflitto, si e' registrato
un morto ogni 15 minuti... bastano questi dati per capire l'entita' del
fenomeno. E per comprendere come mai si tenga un  referendum.
Sarebbe interessante comprendere quale parte ha l'Italia, con le sue
prospere industrie di morte, in questo enorme mercato, soprattutto dopo la
revisione della legge 185/90 operata dal governo in carica, senza tenere in
considerazione alcuna  le richieste nonviolente e pacifiste.
Ma torniamo al referendum che e' basato su un solo, inequivocabile, quesito:
"il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni deve essere proibito in
Brasile?".
Anche gli schieramenti sono inequivocabili: da una parte alcuni potentati
economici, settori dell'opposizione di destra al governo Lula. Dall'altra, i
movimenti pacifisti, le organizzazioni non governative, i movimenti per i
diritti umani e di base, le Chiese brasiliane.
Il problema, per lo schieramento che sostiene il si', e' raggiungere la
popolazione, una "maggioranza dei cittadini, ma una maggioranza difficile da
raggiungere" come scrive Francesco Comina, "perche' e' una maggioranza di
'esuberi', come vengono definiti i poveri piu' poveri secondo i parametri
economici. Sono i favelados, gli abitanti delle tante favelas, sono gli
analfabeti dell'interno, gli anziani senza nulla, i tanti 'sem' (terra,
lavoro, casa, ecc.). sono le vite rifiutate, travolte dal destino, interrate
dallo squilibrio nord-sud, ammalate di poverta', perseguitate dalla violenza
armata".
Il fronte del si' alcune vittorie le ha gia' riportate: il referendum chiude
un percorso iniziato due anni fa con l'approvazione dello Statuto per il
disarmo e proseguito nel 2004 con la campagna per la consegna volontaria
delle armi da fuoco. Il successo e' stato tale che il termine e' stato
prorogato, e vi e' gia' stata la consegna di oltre 400.000 armi da fuoco che
sono state quindi distrutte.
*
Per noi che non siamo in Brasile, il problema e' quello di dar vita a
iniziative che possano aiutare il fronte del si' a vincere questa difficile
battaglia: come sovente accade, l'avversario e' dotato di mezzi e denaro, e
cerchera' forse di agitare lo spauracchio di dipingere i fautori del si'
come coloro che vogliono lasciare la gente per bene in balia dei criminali.
Al contrario, il si' puo' contare solo sui propri mezzi.
Per sostenre dall'Italia l'iniziativa referendaria brasiliana una prima
proposta e' quella di diffondere la notizia scrivendo ai giornali, alle
mailing list, ai siti internet, alle radio e alle televisioni (finora ho
letto, a proposito del referendum, solo un accenno sul quotidiano "La
Repubblica", ma la ricerca non e' stata certo esaustiva).
Il pressing puo' essere anche rivolto ai siti e alle riviste religiose on
line (e non solo quelle cattoliche, come "Nigrizia", ma anche a quelle di
altre confessioni, dagli islamici ai protestanti), ed essere esteso ai siti
di intercultura... Senza dimenticare i partiti politici italiani per far si'
che intervengano nei cofnronti dei loro omologhi brasiliani.

7. 23 OTTOBRE. ANGELA GIUFFRIDA: SI'
[Ringraziamo Angerla Giuffrida (per contatti: frida43@inwind.it) per questo
intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra
le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002]

Tutti coloro che hanno veramente a cuore la sopravvivenza della specie non
possono fare a meno di sostenere il referendum che il 23 ottobre prossimo,
in Brasile, chiedera' l'abolizione del commercio delle armi da fuoco.
Naturalmente anch'io dico di si' e anch'io sono d'accordo con quanti
ritengono che la mobilitazione contro le armi debba avere alla base e
sviluppare progressivamente quell'attenzione per la vita, senza la quale
eliminare la guerra e' e restera' un'utopia.
Io credo, pero', che mobilitarsi per la vita comporti la piena
consapevolezza del fatto che le comunita' patricentriche non si organizzano
attorno alla vita e alla cura della specie. Il loro fine, non dichiarato ma
autoevidente, e' garantire agli uomini il dominio sulle donne e, all'interno
del genere maschile, assicurarlo ai piu' prepotenti.
Questo modello regge da millenni e tutti i tentativi di modificazione fin
qui agiti non hanno avuto successo, ne' potranno averlo in futuro se il
punto di vista che governa il mondo restera' quello del dominante. A me pare
che gli uomini, anche quelli che dedicano la loro vita alla nobile causa
della pace, non siano disposti a metterlo seriamente in discussione. Non mi
sembra, infatti, che figuri nell'agenda di qualche partito o movimento la
messa in discussione dello sfruttamento del lavoro di cura, praticato da
tutti gli stati, anche da quelli che si vogliono democratici e si ritengono
detentori di una "superiore civilta'"; ne' mi pare di scorgereun seppur
timido tentativo di ricercare nello strapotere maschile, di cui le comunita'
umane sono la diretta emanazione, la causa non dico di tutti, ma almeno di
alcuni mali che le affliggono, come ad esempio l'eccessiva conflittualita'.
Il fatto che ci sia un'indebita "occupazione" di tali comunita' da parte di
un genere che crede di avere il diritto di prelazione nel governo delle
stesse, senza dover coinvolgere o semplicemente rendere conto del proprio
operato a quel genere a cui la specie deve l'esistenza in vita, non appare
al maschio umano ingiusto e contraddittorio. D'altronde egli non considera
anomalo neanche il fatto che il suo genere, mentre pretende e di fatto
detiene tutto il potere, non sia disposto ad assumersi la relativa
responsabilita', neanche quando si parla della guerra che e', al di la' di
ogni ragionevole dubbio, il mestiere degli uomini e un parto della loro
mente.
Ora, fintantoche' il fuoco dei sistemi sociali sara' occupato dal dominio,
non dalla cura, non c'e' modo di realizzare la pace sulla terra.
Poiche' le donne producono la vita e il loro mestiere e' sostenerla, hanno
sviluppato per forza di cose categorie mentali favorevoli a questo scopo e
possono dare un contributo insostituibile all'organizzazione di comunita'
centrate sulla persona, percio' tutti gli espedienti volti ad impedire loro
la piena partecipazione politica sono profondamente irrazionali perche'
disfunzionali alla vita della specie.
Il silenzio degli uomini sullíemarginazione, sullo sfruttamento e sulle
persecuzioni a cui sottopongono le donne (basti pensare che la principale
causa di morte e di invalidita' per le donne dai 16 ai 44 anni nel mondo e'
la violenza domestica), vanifica ogni loro azione volta a mettere in atto la
pace e la giustizia. Se davvero essi vogliono mobilitarsi per la vita, la
prima guerra su cui devono interrogarsi e' quella di genere, perche'
condurre una guerra contro le madri della specie significa fare tout court
la guerra alla vita.

8. 23 OTTOBRE. GIANNOZZO PUCCI: SI'
[Ringraziamo Giannozzo Pucci (per contatti: redazione@ecologist.it) per
questo intervento. Giannozzo Pucci, amico della nonviolenza, saggista, tra i
fondatori in Italia del movimento ambientalista ed antinucleare e del
movimento per l'agricoltura organica, ha fondato ed e' presidente
dell'Associazione di solidarieta' per la campagna italiana, ha promosso
l'esperienza della Fierucola, e' presidente dell'Associazione internazionale
"Fioretta Mazzei". Consigliere comunale di Firenze dal 1990, e' stato per
sei anni presidente della Commissione urbanistica; ha collaborato a vari
giornali e riviste; cura la collana editoriale dei "Quaderni d'Ontignano",
ed anima attualmente la Libreria Editrice Fiorentina, la prestigiosa casa
editrice che ha pubblicato le opere di Giorgio La Pira e Lorenzo Milani]

Poter votare per la prima volta al mondo per vietare la produzione e il
commercio delle armi, sembra una grandissima cosa e la tentazione di
applaudire irresistibile.
*
Le obiezioni
Ma il referendum in generale non e' uno strumento di democrazia diretta,
specialmente in una societa' di massa e utilizzato su larga scala in un
paese intero. Salvo rarissimi casi, la politica vince sempre sul referendum.
Vale a dire che se il risultato del voto sara' si' alla proibizione della
produzione e commercio delle armi, c'e' da temere che gli industriali e i
commercianti troveranno il modo di aggirare l'ostacolo; peggio ancora se il
risultato dovesse essere il contrario.
*
Quello che conta
Non esiste democrazia diretta separata da una cultura, una politica,
un'economia e una comunita' vitale, dove gli argomenti su cui decidere fanno
parte di una riflessione comune fra vecchi e giovani, uomini e donne, gente
di ogni strato sociale, con un'unanimita' comunitaria e culturale di fondo e
tempi lunghi per decidere.
*
Perche' si'
Cio' non toglie che in questo caso particolare c'e' la possibilita' che se
vince il fronte del si' al divieto delle armi questa specifica espressione
possa rappresentare una presa del potere sull'identita' del Brasile da parte
della grandi masse dei poveri e questo potrebbe farne uno di quei rarissimi
casi di referendum che vince, almeno a livello di bandiera culturale, sulla
politica.

9. 23 OTTOBRE. CLAUDIO TUGNOLI: SI'
[Ringraziamo Claudio Tugnoli (per contatti: tugnoli@iprase.tn.it) per questo
intervento. Claudio Tugnoli e' studioso di filosofia, educatore e saggista,
particolarmente attento ai temi epistemologici, religiosi, morali; impegnato
per la pace e i diritti umani, ha dato un grande contributo alla promozione
di una cultura della nonviolenza. Opere di Claudio Tugnoli: La dialettica
dell'esistenza. L'hegelismo eretico di John McTaggart, Angeli, Milano 2000;
AA.VV. (a cura di), Tra il dire e il fare. L'educazione alla prassi dei
diritti umani, Angeli, Milano 2000; AA.VV. (a cura di), Diacronia e
sincronia. Saggi sulla misura del tempo, Angeli, Milano 2000; AA. VV. (a
cura di), Maestri e scolari di nonviolenza, Angeli, Milano 2000; Girard. Dal
mito ai Vangeli, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2001]

Da piu' parti e da tempo si chiede che l'atto di nascita dell'unita' europea
sia accompagnato dal riconoscimento esplicito dell'identita' cristiana
dell'Europa. Senza affrontare la questione di un'identita' europea non solo
multipla (greca, romana, giudaica, islamica, illuminista; per altri celtica,
etrusca, longobarda, bizantina o normanna), ma anche in evoluzione nel corso
dei secoli (nessuna identita', individuale o collettiva, e' semplice e
immobile: cio' che vale per il passato perche' non dovrebbe valere anche per
il futuro?), mi limito a osservare che il contenuto piu' universale
dell'identita' cristiana e' la difesa delle vittime della violenza,
dell'ingiustizia e di ogni forma di oppressione. L'identita' cristiana, in
questo senso, e' l'identita' del mondo intero, non solo dell'Europa. Se
l'affermazione dell'identita' cristiana dell'Europa deve diventare la
premessa ideologica per costruire un'identita' "vittimaria" che ripete il
rito sacrificale del tutti contro uno, se si vuole un'identita' prestabilita
come collante della federazione in modo che l'esclusione rafforzi l'armonia
a spese di qualche terzo, allora bisogna riconoscere che questo sarebbe il
modo migliore per tradire l'essenza del cristianesimo e il senso profondo
della rivoluzione dei vangeli. L'identita' cristiana dell'Europa puo'
dispiegarsi in tutte le sue conseguenze solo universalizzando il contenuto
autentico dei vangeli e facendo proprio il riconoscimento dell'innocenza
della vittima. Questo soltanto puo' diventare il veicolo di un dialogo
proficuo tra le diverse religioni, identita' e culture, sia in Europa che
nel mondo.
*
Ovunque nel mondo, si puo' dire, si parla, si scrive e ci si atteggia in
nome della necessita' ineludibile di prendere la difesa delle vittime.
Tuttavia, nonostante il disvelamento irreversibile del meccanismo espiatorio
giunto a compimento nella tradizione evangelica, le persecuzioni e le
violenze piu' arbitrarie si commettono in nome della verita' dell'innocenza
della vittima, tradendo in tal modo l'insegnamento unico e irripetibile
della rivelazione cristiana. In nome di Dio, anche del Dio cristiano, in
nome dell'identita' e nella persuasione di operare in difesa di vittime
inermi, si sono commessi e si commettono crimini e genocidi. Si assiste
quindi alla piu' plateale incongruenza tra la coscienza della verita'
riguardo la vittima e il comportamento che di fatto si adotta nei confronti
del prossimo. La previsione di un mondo conflittuale nel quale l'unica
salvezza possibile e' quella che passa attraverso la difesa preventiva ha
come logica conseguenza la produzione e il commercio di armi sempre piu'
sofisticate e sempre piu' micidiali.
La diffusione  e l'uso delle armi sono insieme causa ed effetto del male che
un numero crescente di persone nel mondo si illude di combattere: la
violenza distruttiva. Anche la natura puo' scatenare forze distruttive, come
dimostrano terremoti, tsunami e uragani. E alla fine dobbiamo tutti morire.
Ma chi usa questi argomenti ha una visione naturalistica dell'uomo, non
comprende il significato della responsabilita' morale; non capisce che
l'uomo e' si' parte della natura come qualsiasi vivente di ogni altra
specie, ma al tempo stesso puo' rivendicare una differenza qualitativa nel
fatto di poter evolvere non solo come specie ma anche come individuo. Il
commercio delle armi, dalla produzione all'acquisto, mantiene la convivenza
civile a un livello naturalistico perche' la tranquillita' che assicura e'
quella determinata dall'equilibrio del terrore reciproco e della minaccia
incrociata.
La rinuncia alle armi, conseguente al risveglio spirituale che i vangeli
hanno inaugurato e la Chiesa si sforza di mantenere vivo nel mondo, e' il
solo comportamento davvero significativo sul piano morale e religioso. La
sola decisione che istituisce una concordanza perfetta tra cio' che gli
uomini pensano e ci' che fanno, tra coscienza e comportamento esteriore, tra
il mezzo e il fine.
*
E' dimostrato che il possesso delle armi e' concausa dei conflitti e della
loro escalation. Lo scontro armato non risolve le contese tra stati o tra
individui, che sono il vero problema, ma li salta e li esalta. Il mezzo,
l'uso delle armi, e' in contraddizione rispetto al fine che si intende
perseguire. Cosi' un uomo che soffre di solitudine puo' illudersi di venire
a capo del proprio isolamento attraverso la pratica dell'edonismo sessuale o
moltiplicando le sue immersioni in folle anonime dove, come nelle tifoserie
calcistiche, l'individuo e' azzerato (in senso purtroppo anche fisico)
dall'obbligatoria appartenenza a un club, dall'identificazione con una
squadra che deve battere (anche in questo caso fisicamente) la squadra
avversaria. Tale comportamento si rivela inadeguato rispetto allo scopo (il
superamento della solitudine) e persino all'origine di un esito opposto.
Manca quindi una cultura della riflessione, che permetta di individuare il
vero problema - il conflitto, la solitudine o altro - al fine di risolverlo
in modo davvero radicale. L'uso delle armi in generale e di quelle da fuoco
in particolare (che, dopo il bando dagli schermi cinematografici delle
sigarette e dell'alcol, sono diventate spesso i soli protagonisti che
"dialogano" e fanno accadere qualcosa) presuppone che l'obiettivo sia quello
di eliminare i contendenti e non la contesa. L'impegno a mettere al bando le
armi da fuoco implica l'assunzione di responsabilita' rispetto al problema
del conflitto, della competizione e, in generale, dell'armonia
indispensabile tra individuo e collettivita' quale condizione della dignita'
morale dei singoli e del senso della vita associata.

10. INIZIATIVE. MICHAEL MOORE: AIUTIAMO CINDY
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 settembre 2005.
Michael Moore, una delle figure piu' vivaci ed acute del pacifismo
americano, e' regista cinematografico; giornalista e scrittore. Dal sito
della casa editrice Feltrinelli riprendiamo la seguente scheda: "Michael
Moore e' il piu' famoso e brillante regista di documentari degli Stati
Uniti. Nato nel 1954 a Flint, nel Michigan, ha lavorato per diversi anni
come giornalista in riviste indipendenti, per poi passare al cinema. Ha
scritto, diretto e prodotto Roger e io (New York Film Critics Circle Award
1989), Bowling a Columbine (Premio speciale della giuria al festival di
Cannes 2002 e Oscar come miglior documentario 2003). Fahrenheit 9/11 ha
vinto la Palma díoro al festival di Cannes 2004 e, in una settimana, ha
incassato piu' di qualsiasi altro documentario nella storia. Moore e' autore
di best seller quali Stupid White Men (Mondadori 2003) e Come hai ridotto
questo paese? (Mondadori 2003). Ha inventato alcune fortunate serie
televisive satiriche". Tra i libri di Michael Moore: Stupid White Men,
Mondadori, Milano 2003; Ma come hai ridotto questo paese?, Mondadori, Milano
2003; Giu' le mani!, Mondadori, Milano 2004; L'esecuzione, Mondadori, Milano
2004; Ingannati e traditi. Lettere dal fronte, Mondadori, Milano 2005.
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; dal 6 agosto e' stata
accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo
le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte
di suo figlio]

Amici,
c'e' molto da dire e da fare contro l'annientamento di New Orleans compiuto
dall'uomo, causato non da un uragano ma dalle specifiche decisioni prese
dall'amministrazione Bush negli ultimi quattro anni e mezzo. Non ascoltate
chi dice che di questo possiamo discutere piu' tardi. No, non possiamo. Il
nostro paese e' in uno stato immediato di vulnerabilita'. Arriveranno ancora
uragani, guerre ed altri disastri, e una masnada indolente di pazzi
autocompiaciuti sta ancora guidando il gioco. Percio', nei prossimi giorni,
vi scrivero' su cosa bisogna fare riguardo a Bush & Co. Ma oggi voglio che,
insieme a me, ignoriate l'amministrazione Bush, colossalmente inetta e
incompetente, e portiate aiuto direttamente e subito agli abitanti di New
Orleans.
Molti mi hanno scritto chiedendomi cosa fare. Molti non sanno di chi
fidarsi. Molti vogliono fare di piu' che firmare un assegno. Fate bene a
pensare che firmare assegni per le agenzie di soccorso non servira' a
portare acqua e aiuti agli sfollati nelle prossime 48 ore. Gli assegni
serviranno piu' tardi.
C'e' pero' un modo in cui ciascuno di noi puo' fare qualcosa che avra' un
effetto sulla vita delle persone oggi.
In questi giorni ho lavorato con un gruppo che aiutera' direttamente le
persone che ne hanno piu' bisogno.
Cindy Sheehan, la donna coraggiosa che ha osato sfidare il signor Bush nella
sua residenza estiva, ha ora inviato il suo Camp Casey, dal ranch di Bush,
ai dintorni di New Orleans. I Veterans for Peace hanno preso tutto
l'equipaggiamento e i volontari e hanno allestito un campo a Covington,
Louisiana, sulla riva del lago Pontchartrain. Stanno accettando materiale e
lo distribuiscono personalmente a chi ne ha bisogno.
E' qui che interveniamo noi. Dobbiamo spedirgli i rifornimenti
immediatamente. Oggi loro hanno bisogno di quanto segue: piatti di carta,
tovaglioli di carta, carta igienica, pannolini per bambini, fazzoletti
detergenti per bambini, alimenti per bambini, Pedialyte, articoli per
bambini in generale, talco, lozione, fazzoletti detergenti, guanti sterili,
sali minerali, scatole grandi di verdure, articoli per la scuola, e
qualsiasi altra cosa che possa sollevare il morale alla gente.
Potete spedire queste cose seguendo le istruzioni su VFPRoadTrips.org.
Oppure potete consegnarle personalmente. Le strade per Covington sono
aperte. Potete arrivare la'. Potete lasciarle, oppure restare e partecipare
(se restate, dovrete accamparvi percio' portate tenda, attrezzatura e spray
per zanzare). Se non potete spedire queste cose o andare la' di persona,
allora andate su VFPRoadTrips.org e fate una donazione immediata attraverso
PayPal. Quelli di Camp Casey-Covington avranno accesso immediato a questo
denaro e potranno comperare loro stessi questi articoli nei negozi che sono
aperti in Louisiana (tutte le donazioni a Veterans for Peace sono deducibili
dalle tasse).
Ogni giorno mettero' on-line informazioni aggiornate su cosa serve, e i
progressi fatti a Camp Casey. Vi prego di visitare spesso MichaelMoore.com
Molti altri gruppi stanno facendo anch'essi un buon lavoro. MoveOn.org ha
organizzato un servizio per le persone che offrono ai sopravvissuti una
stanza nella propria casa. Non c'e' tempo da perdere. La gente sta soffrendo
e morendo.

11. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: LE GUERRE MENTONO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 settembre 2005. Eduardo Galeano e' nato
nel 1940 a Montevideo (Uruguay); giornalista e scrittore, nel 1973 in
seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal
suo paese; ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura.
Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale
fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Tra le
sue opere, fondamentali sono: Le vene aperte dell'America Latina,
recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco,
Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra
gli altri suoi libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua
maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista
che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes,
Mondadori, Milano]

- Ma il motivo... disse il signor Duval. Un uomo non uccide per niente.
- Il motivo? rispose Ellery, stringendosi nelle spalle. Lei il motivo lo
conosce.
(Ellery Queen, Avventura nella Casa delle Tenebre)

Le guerre dicono di esserci per nobili ragioni: la sicurezza internazionale,
la dignita' nazionale, la democrazia, la liberta', l'ordine, il mandato
della Civilta' o la volonta' di Dio. Nessuno ha l'onesta' di confessare: "Io
uccido per rubare".
In Congo, nel corso della guerra dei quattro anni che e' in sospeso dalla
fine del 2002, sono morti non meno di tre milioni di civili. Sono morti per
il coltan, ma neppure loro lo sapevano. Il coltan e' un minerale raro, e il
suo strano nome designa la mescolanza di due rari minerali chiamati columbio
e tantalio. Il coltan valeva poco o nulla, finche' si scopri' che era
imprescindibile per la fabbricazione di telefoni cellulari, navi spaziali,
computer e missili; e allora e' diventato piu' caro dell'oro.
Quasi tutte le riserve conosciute di coltan sono nelle sabbie del Congo.
Piu' di quarant'anni fa, Patrice Lumumba fu sacrificato su un altare d'oro e
di diamanti. Il suo paese torna ad ucciderlo ogni giorno.
Il Congo, paese poverissimo, e' molto ricco di minerali, e questo regalo
della natura continua a rivelarsi una maledizione della storia.
Gli africani chiamano il petrolio "merda del diavolo". Nel 1978 venne
scoperto il petrolio nel sud del Sudan. Si sa che sette anni dopo le riserve
erano gia' piu' del doppio, e la maggior quantita' giace nell'ovest del
paese, nella regione del Darfur. La', di recente, c'e' stata, e continua a
esserci, un'altra strage. Molti contadini neri, due milioni secondo alcune
stime, sono fuggiti o sono stati uccisi dai proiettili, dai coltelli o dalla
fame, al passaggio delle milizie arabe che il governo appoggia con carri
armati ed elicotteri. Questa guerra si traveste da conflitto etnico e
religioso fra i pastori arabi, islamici, e i contadini neri, cristiani e
animisti. Ma il fatto e' che i villaggi incendiati e i campi distrutti erano
dove adesso cominciano ad ergersi le torri petrolifere che perforano la
terra.
La negazione dell'evidenza, ingiustamente attribuita agli ubriachi, e' la
piu' nota abitudine del presidente del pianeta, che, grazie a dio, non beve
nemmeno un goccio. Lui continua ad affermare che la sua guerra in Iraq non
ha niente a che vedere con il petrolio.
"Ci hanno ingannato occultando sistematicamente informazioni", scriveva
dall'Iraq, nel lontano 1920, un certo Lawrence d'Arabia: "Il popolo inglese
e' stato portato in Mesopotamia per cadere in una trappola dalla quale sara'
difficile uscire con dignita' e con onore".
Lo so che la storia non si ripete, ma a volte ne dubito.
E l'ossessione contro Chavez? Non ha proprio niente a che vedere con il
petrolio del Venezuela questa campagna forsennata che minaccia di uccidere,
in nome della democrazia, il "dittatore" che ha vinto nove elezioni pulite?
E le continue grida d'allarme per il pericolo nucleare iraniano non hanno
proprio niente a che vedere con il fatto che l'Iran contenga una delle
riserve di gas piu' ricche del mondo? E se no, come si spiega la faccenda
del pericolo nucleare? E' stato forse l'Iran il Paese che ha gettato le
bombe nucleari sulla popolazione civile di Hiroshima e Nagasaki?
L'impresa Bechtel, con sede in California, aveva ricevuto in concessione,
per quarant'anni, l'acqua di Cochabamba. Tutta l'acqua, compresa l'acqua
piovana. Non appena si fu installata, triplico' le tariffe. Scoppio' una
rivolta popolare e l'impresa dovette andarsene dalla Bolivia.
Il presidente Bush si impietosi' per l'espulsione, e la consolo'
concedendole l'acqua dell'Iraq.
Davvero generoso da parte sua. L'Iraq non e' degno di essere distrutto solo
per la sua favolosa ricchezza petrolifera: questo paese, irrigato dal Tigri
e dall'Eufrate, si merita il peggio anche perche' e' la pozza d'acqua dolce
piu' ricca di tutto il Medio Oriente.
Il mondo e' assetato. I veleni chimici imputridiscono i fiumi e la siccita'
li stermina, la societa' dei consumi consuma sempre piu' acqua, l'acqua e'
sempre meno potabile e sempre piu' scarsa. Tutti lo sanno: le guerre del
petrolio saranno, domani, guerre dell'acqua.
In realta', le guerre dell'acqua sono gia' in corso. Sono guerre di
conquista, ma gli invasori non gettano bombe, ne' fanno sbarcare truppe. I
tecnocrati internazionali, che mettono i paesi poveri in stato d'assedio ed
esigono privatizzazione o morte, viaggiano in abiti civili. Le loro armi,
mortali strumenti di estorsione e di castigo, non si vedono e non si
sentono.
La Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, due ganasce della
stessa morsa, hanno imposto, in questi ultimi anni, la privatizzazione
dell'acqua in sedici paesi poveri. Fra essi, alcuni dei piu' poveri del
mondo, come il Benin, la Nigeria, il Mozambico, il Ruanda, lo Yemen, la
Tanzania, il Camerun, l'Honduras, il Nicaragua... L'argomento era
irrefutabile: o consegnano l'acqua o non ci sara' clemenza per i debiti o
nuovi prestiti.
Gli esperti hanno anche avuto la pazienza di spiegare che non lo facevano
per smantellare sovranita' nazionali, bensi' per aiutare la modernizzazione
dei paesi che languivano nell'arretratezza per l'inefficienza dello stato. E
se le bollette dell'acqua privatizzata non potevano essere pagate dalla
maggioranza della popolazione, tanto meglio: magari cosi' si sarebbe
finalmente svegliata la loro assopita volonta' di lavoro e di superamento
personale.
Chi comanda in democrazia? I funzionari internazionali dell'alta finanza,
che nessuno ha votato? Alla fine dell'ottobre dell'anno scorso, un
referendum ha deciso il destino dell'acqua in Uruguay. La maggior parte
della popolazione ha votato, con una maggioranza mai vista, confermando che
l'acqua e' un servizio pubblico e un diritto di tutti. E' stata una vittoria
della democrazia contro la tradizione dell'impotenza, che ci insegna che
siamo incapaci di gestire l'acqua o qualsiasi altra cosa, e contro la
cattiva fama della proprieta' pubblica, screditata dai politici che l'hanno
usata e maltrattata come se cio' che e' di tutti non fosse di nessuno.
Il referendum dell'Uruguay non ha avuto nessuna ripercussione
internazionale. I grandi media non sono venuti a conoscenza di questa
battaglia della guerra dell'acqua, persa da quelli che vincono sempre; e
l'esempio non ha contagiato nessun paese del mondo. Questo e' stato il primo
referendum dell'acqua e finora, che si sappia, e' stato anche l'ultimo.

12. MEMORIA. OMERO DELLISTORTI: PER FRANCA ONGARO BASAGLIA
[Franca Ongaro Basaglia, intellettuale italiana di straordinario impegno
civile, pensatrice di profondita', finezza e acutezza straordinarie, insieme
al marito Franco Basaglia e' stata tra i protagonisti del movimento di
psichiatria democratica; e' deceduta nel gennaio 2005. Tra i suoi libri
segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982; Manicomio
perché?, Emme Edizioni, Milano 1982; Una voce: riflessioni sulla donna, Il
Saggiatore, Milano 1982; in collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La
maggioranza deviante, Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso
Einaudi; ha collaborato anche a L'istituzione negata, Che cos'e' la
psichiatria, e a molti altri volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli
Scritti di Franco Basaglia. Dalla recente antologia di scritti di Franco
Basaglia, L'utopia della realta', Einaudi, Torino 2005, da lei curata,
riprendiamo la seguente notizia biobibliografica, redatta da Maria Grazia
Giannichedda, che di entrambi fu collaboratrice: "Franca Ongaro e' nata nel
1928 a Venezia dove ha fatto studi classici. Comincia a scrivere letteratura
infantile e i suoi racconti escono sul "Corriere dei Piccoli" tra il 1959 e
il 1963 insieme con una riduzione dell'Odissea, Le avventure di Ulisse,
illustrata da Hugo Pratt, e del romanzo Piccole donne di Louise May Alcott.
Ma sono gli anni di lavoro nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, con il
gruppo che si sta raccogliendo attorno a suo marito Franco Basaglia, a
determinare la direzione dei suoi interessi e del suo impegno. Nella seconda
meta' degli anni '60 scrive diversi saggi con Franco Basaglia e con altri
componenti del gruppo goriziano e due suoi testi - "Commento a E. Goffman.
La carriera morale del malato di mente" e "Rovesciamento istituzionale e
finalita' comune" - fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano
il lavoro di apertura dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos'e' la
psichiatria (1967) e L'istituzione negata (1968). E' sua la traduzione
italiana dei testi di Erving Goffman Asylums e Il comportamento in pubblico,
editi da Einaudi rispettivamente nel 1969 e nel 1971 con saggi introduttivi
di Franco Basaglia e Franca Ongaro, che traduce e introduce anche il lavoro
di Gregorio Bermann La salute mentale in Cina (1972). Dagli anni '70 Franca
Ongaro e' coautrice di gran parte dei principali testi di Franco Basaglia,
da Morire di classe (1969) a La maggioranza deviante (1971), da Crimini di
pace (1975) fino alle Condotte perturbate. Nel 1981 e 1982 cura per Einaudi
la pubblicazione dei due volumi degli Scritti di Franco Basaglia. Franca
Ongaro e' anche autrice di volumi e saggi di carattere filosofico e
sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie, sulla
bioetica, la condizione della donna, le pratiche di trasformazione delle
istituzioni totali. Tra i suoi testi principali, i volumi Salute/malattia.
Le parole della medicina (Einaudi, Torino 1979), raccolta delle voci di
sociologia della medicina scritte per l'Enciclopedia Einaudi; Una voce.
Riflessioni sulla donna (Il Saggiatore, Milano 1982) che include la voce
"Donna" dell'Enciclopedia Einaudi; Manicomio perche'? (Emme Edizioni, Milano
1982); Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui
medesimo (Editori Riuniti, Roma 1987). Tra i saggi, Eutanasia, in
"Democrazia e Diritto", nn. 4-5 (1988); Epidemiologia dell'istituzione
psichiatrica. Sul pensiero di Giulio Maccacaro, in Conoscenze scientifiche,
saperi popolari e societa' umana alle soglie del Duemila. Attualita' del
pensiero di Giulio Maccacaro, Cooperativa Medicina Democratica, Milano 1997;
Eutanasia. Liberta' di scelta e limiti del consenso, in Roberta Dameno e
Massimiliano Verga (a cura di), Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella
societa' contemporanea, Angelo Guerrini, Milano 2001. Dal 1984 al 1991 e'
stata, per due legislature, senatrice della sinistra indipendente, e in
questa veste e' stata leader della battaglia parlamentare e culturale per
l'applicazione dei principi posti dalla riforma psichiatrica, tra l'altro
come autrice del disegno di legge di attuazione della "legge 180" che
diventera', negli anni successivi, testo base del primo Progetto obiettivo
salute mentale (1989) e di diverse disposizioni regionali. Nel luglio 2000
ha ricevuto il premio Ives Pelicier della International Academy of Law and
Mental Health, e nell'aprile 2001 l'Universita' di Sassari le ha conferito
la laurea honoris causa in Scienze politiche. E' morta nella sua casa di
Venezia il 13 gennaio 2005"]

Sempre sentii che era Franca Ongaro
la mente filosofica piu' viva
degli anni e le rotture che in quel tempo
compiere fu mestieri. E sempre seppi
che con sguardo e con voce di donna
si sarebbe visto e detto l'essenziale.

Sempre seppi che la lotta contro il male
deve salvare tutti, deve infrangere
le intime catene e le esteriori
e che la lotta contro le totali
istituzioni questo ci insegnava:
a contrastare a un tempo la miseria
e dittatura, guerra e patriarcato
e l'apartheid che ancora impera e opprime
e la paura e la violenza sempre.

Lo seppi sempre, Franca Ongaro Basaglia
di tutti i miei maestri la maestra
fu piu' segreta, e l'ultima e la prima.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviiolenta presente in Itala:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir@peacelink.it,
luciano.benini@tin.it, sudest@iol.it, paolocand@inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info@peacelink.it

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