Racconto scritto da Andrea Camporese - Sottomarina di Chioggia - Venezia
CAPITOLO N. 3
In seguito furono invitate a visitare il corpo molte persone del
circondario, ma nessuno riusciva a fornire indicazioni precise su
quell'uomo.
Qualcuno diceva:
"sì, mi sembra di averlo visto da qualche parte, ma non ne
sono sicuro".
Altri:
"sono sicuro di averlo visto, ma non ricordo ne dove ne
quando".
Altri ancora:
"No, non l'ho mai visto".
Anche se la situazione era quella che era, Manetti continuò
comunque il suo lavoro, finchè, due giorni più tardi, capitò
presso l'obitorio un signore piuttosto anziano che diceva di aver
perso le tracce di un suo vecchio amico.
Bastò che desse una sola veloce occhiata a quel volto senza
corpo per riconoscierlo.
"Sì, è lui". Affermò con un filo di voce al medico
legale.
"Si chiamava Sergio navalese, ma tutti lo chiamavano Gino.
Era un barbone che si aggirava per le strade di campagna dei
dintorni, ma non ha mai fatto del male a nessuno e non ha mai
frequentato brutta gente.
Era uno che dai guai stava sempre alla larga, e ancora di più
dai delinquenti".
Detto questo, si volse bruscamente e se ne andò con la pipa in
bocca.
Il medico contattò subito Manetti il quale si recò
immediatamente sul posto.
"Chi era quello"? Chiese.
"Era un vecchietto che ha riconosciuto il corpo.
Ha detto che si chiamava Sergio Navalese e che tutti lo
chiamavano Gino.
Ha confermato di essere stato un suo amico ma non ha idea di chi
possa averlo ucciso".
"Tutto quì"?
"Mi pare di sì".
Manetti fece per andarsene ma venne fermato in tempo dal medico
legale.
"No aspetti agente!
Ha detto anche che era un tipo che non cercava guai e che
nonfrequentava delinquenti.
Poi sen'è andato".
"Si stava dimenticando della cosa più importante dottore.
Deve fare più attenzione a questi particolari.
Non sapendolo potevo portare le mie ricerche verso la direzione
sbagliata".
"Ha ragione". Sibilò il medico, il quale mostrò di
essere un tantino mortificato.
"Mi potrebbe descrivere questo vecchietto"?
"Era un uomo magro, basso, portava barba e baffi lunghi,
aveva i capelli neri, e quando è uscito si è messo la pipa in
bocca".
Manetti si scrisse quelle informazioni su un blocchetto con aria
decisa.
"Grazie dottore. Lei mi è stato di grande aiuto".
Così dicendo sparì.
Erano giunte ormai le undici di sera, quando manetti si mise a
letto nella sua casa di Brescia.
Esaminò mentalmente tutti i particolari di ogni indizio che
aveva in pugno, e poi se li annotò sullo stesso blocchetto in
cui aveva scritto le informazioni giunte dal medico legale.
Era come se si fosse sposato il suo lavoro, e questo gli
permetteva di svolgerlo nel migliore dei modi e senza difficoltà.
Finito di buttare giù tutti gli appunti, posò gli attrezzi per
scrivere sul comodino, si girò sul fianco, e si addormentò
soddisfatto di come aveva svolto il suo lavoro.
Era già da qualche mese che Stefano fusco non si occupava di
nessun caso, apparte quell'uscita che fece con il suo collega
Manetti per andare a visitare per la prima volta il corpo.
Il commissario assieme ad alcuni dei suoi colleghi, cercava di
interpellarlo ma senza riuscirci.
"Sono stanco". Diceva.
"Ho bisogno di riposare e di riordinare le idee.
Appena me la sentirò di riprendere il lavoro vi avvertirò".
Questa situazione non piaceva molto a Manetti, che non vedeva di
buon occhio il fatto che il suo collega si comportasse in quel
modo.
Cominciava a chiedersi se in realtà ci fosse qualche altro
motivo per cui non voleva riprendere a lavorare oltre alla
stanchezza, ma lasciava correre, e non si intrometteva affatto
nella sua vita privata.
Manetti si svegliò nel cuore della notte pensando a Fusco e a
tutto quello che lo riguardava.
Sommò stanchezza, bisogno di riordinare le idee, l'assenza dal
luogo di lavoro, tutte cose che non facevano parte del Fusco di
sempre.
Manetti si disse:
"sì, è vero che è un po' strano, ma è anche vero che è
un bravo poliziotto, e se ci da dentro è quasi più bravo di me.
Però da qualche tempo si comporta in modo abbastanza sospetto e
questo mi meraviglia.
Potrebbe esserci sotto qualcosa?
Non è che forse sa chi è stato a commettere il delitto e non
parla"?
Queste domande continuarono a tartassarlo per un paio d'ore,
finchè decise di farla finita.
"Ma a che sto pensando!
Quello è un mio collega e se si comporta così ci saranno dei
motivi personali e francamente non sono fatti miei"!
Poco dopo, il sonno prese il sopravvento.
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martedì 14 novembre 2000 12.38.37