Racconto scritto da Andrea Camporese - Sottomarina di Chioggia - Venezia
CAPITOLO N. 4
Durante la notte e anche nel primo mattino, la pioggia era caduta
fitta e le strade apparivano brulicanti di pozzanghere e di
rivoletti d'acqua che scorrevano rapidi verso i tombini.
Dopo un breve intervallo la pioggia aveva ricominciato a cadere
ancora più fitta, alla quale si era aggiunto anche un bel vento
che si prendeva gioco delle persone con gli ombrelli, rompendo
quelli più malandati e spostando quelli più robusti in modo che
i proprietari si potessero inzuppare per bene.
Questo però non scoraggiò Manetti che, dimostrandosi più furbo
di molte delle persone già in strada, si armò di una mantellina
con un bel cappuccio impermeabile, per recarsi in commissariato a
continuare le indagini che lo riguardavano.
Il commissario lo incaricò di andare a cercare qualche eventuale
testimone oculare che abitasse nei pressi del luogo del delitto.
Quello stesso pomeriggio l'agente fece visita ad alcuni casolari
situati a fianco della ferrovia, chiedendo a chi vi abitava se
qualcuno avesse visto qualche persona sospetta aggirarsi da
quelle parti, o addirittura le fasi dell'omicidio.
Interrogò una trentina di persone ma non ottenne altro che
negazioni:
"In quel momento non ero in casa".
"Non guardo mai le rotaie perchè ho cose migliori di cui
occuparmi".
"Io coltivo gli ortaggi proprio accanto alla ferrovia ma
purtroppo non ho visto niente".
Ottenne risposte gentili come quest'ultima, ma anche risposte
brusche e decise come le precedenti.
L'assassino non aveva fatto alcun errore; sembrava che avesse
meditato su come agire per molto tempo, e che avesse compiuto il
delitto con una facilità immensa, come se uccidere fosse il suo
mestiere, ma nonostante questo Manetti non volle arrendersi.
"Dovrà pure aver commesso qualche errore quello lì no"?
Pensava.
Andò nuovamente all'obitorio per vedere se nel frattempo era
saltata fuori qualchenovità.
"Ha scoperto qualcos'altro"? Domandò al medico legale.
""Non sono venute altre persone a dire qualcosa
riguardo a quell'uomo"?
"No. E poi ho smesso di analizzarlo perchè ormai abbiamo
scoperto tutto.
Non saprei più che cosa cercare.
Ho provato a vedere anche se gli è stato ignettato qualche
calmante per riuscire a legarlo lì, o se gli è stato fatto
ingerire qualche sonnifero ma i risultati sono tutti negativi".
Manetti cominciò ad innervosirsi.
"Non riesco a capire come abbia fatto a non commettere
neanche un errore!
Ci dev'essere pure una traccia da qualche parte no"?
"Sono frastornato anch'io da questa faccenda".
L'agente, dopo aver salutato il medico legale, se ne andò da
quel posto in un modo tanto strano che sembrava non ci volesse più
tornare.
Il tramonto era ormai giunto al termine quando Manetti fece
ritorno a casa più stanco che mai, tanto che non riuscì nemmeno
a cucinarsi una cena decente.
Mangiò di tutta fretta un pezzo di formaggio, un tozzo di pane
vecchio di due giorni, e non si sedette neppure a tavola.
Poco dopo uscì di casa per andare a fare due passi, cercando di
eliminare tutti quei brutti pensieri che lo tormentavano.
Vagò per la città per un paio d'ore, fino a quando sentì la
vera stanchezza piombargli addosso.
Tornato a casa si spogliò e si mise subito a letto, cercando di
addormentarsi più in fretta che poteva per non rischiare di
essere ancora tormentato dalle domande e dai dubbi.
Dopo la pioggia rigeneratrice caduta durante il giorno appena
trascorso, il cielo era tornato stellato e la luna splendeva
piena facendo concorrenza ai lampioni situati lungo la strada i
quali, assieme ad essa, regalavano alla città immersa nella
notte un insolito chiarore.
Questo contrastava molto con il buio del delitto che non trovava
sbocco da nessuna via; buio che invece si intonava perfettamente
con gli oscuri campi privi di illuminazione artificiale
attraversati dalla ferrovia, sulla quale i treni correvano,
sbucavano dal nulla all'improvviso, e poi filavano via con la
stessa fretta con la quale arrivavano, e in fine scomparivano
nella notte senza alcun timore.
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giovedì 23 novembre 2000 08.53.18