DELITTO DI FERRO.

Racconto scritto da Andrea Camporese - Sottomarina di Chioggia - Venezia

CAPITOLO N. 5

Il giorno successivo Manetti si alzò verso le sette del mattino sentendosi molto riposato.
Aveva passato una notte di sonno profondo e senza alcun turbamento, sentendosi quindi pronto per affrontare un'altra intensa giornata di lavoro.
Si vestì piuttosto elegante, e questo stava a testimoniare l'allegria che lo abbracciava.
Ma proprio quando stava per appoggiare la mano sulla maniglia della porta di casa per aprirla ed andarsene, squillò il telefono.
Era il commissario che voleva informarlo di una cosa che non gli avrebbe certo fatto piacere.
"Pronto",
"pronto, sono il commissario"
. "Ah salve commissario. Come mai mi chiama a casa a quest'ora del mattino"?
"Per dirti che il lavoro che stai svolgendo su quel caso è meglio che lo lasci perdere".
"Come ha detto scusi"?
"Manetti, ascolta.
Tu sei un bravo poliziotto e di meriti te ne do quanti ne vuoi, ma questa volta l'assassino è stato molto bravo e ha fatto sparire le sue tracce fin troppo bene.
A questo punto io credo che sia impossibile arrivare a lui, e credo invece che sarebbe meglio che tu ti occupassi di qualche altro caso più facile da risolvere, in modo da riuscire ad incastrare qualcuno.
Se ti dovessi occupare di questo caso per tanto tempo ancora e non riuscissi a venirne fuori, qualche altro colpevole, magari di un reato minore ma pur sempre da punire potrebbe passarla liscia.
Mi segui"?
"Insomma lei mi sta dicendo che è meglio lasciar perdere uno che ha ammazzato come un cane un suo simile per andare ad arrestare uno che magari ha scippato la borsa a un vecchietto"?
"E cosa vuoi che ti dica?
Io ho affidato a te l'incarico di svolgere le indagini perchè sapevo di metterle in buone mani, però questa volta è impossibile capire chi sia stato".
"Ma dovrà pure aver commesso qualche errore no"?
"Senti! Sono giorni che stai cercando qualcosa che magari nemmeno c'è.
Hai trovato gli anelli della catena e va bene.
Hai confrontato il gruppo sanguigno del corpo con il sangue trovato sugli anelli della catena e va bene.
Hai scoperto che non si trattava di suicidio ma che era un omicidio e va bene, solo che adesso non c'è altro".
"Mi sembra strano che sirassegni in questo modo.
Lei! Un commissario!
Casomai dovrei farlo io visto che ci sono dentro".
"Ma cos'altro potresti fare adesso"?
"La troverò un'altra soluzione, ma intanto ho anche scoperto qualcosa sull'identità del corpo.
Ho saputo chi era, dove viveva, non di più ma comunque è un passo nella direzione della verità no"?
"Ho capito, ma adesso che cosa faresti"?
"Non lo so adesso, ma"...
"Appunto, adesso molli tutto e ti occupi di qualche altro caso.
Te lo troverò io".
"Ma non posso lasciare tutto, ormai ci sono dentro".
"senti! A quanto pare il capo quì sono io è chiaro?
Io ti stimo e te l'ho già detto.
Hai svolto il tuo lavoro con la massima precisione e questo non può far altro che giovare alla tua carriera, ma questa volta l'assassino è stato più bravo di te e tu non puoi farci niente.
Fatti vedere verso le quattro del pomeriggio in commissariato.
Ti affiderò il nuovo caso.
Io intanto archivierò il tuo impegno precedente come caso irrisolto, e speriamo che in futuro venga fuori qualcosa che faccia in modo di riaprirlo.
Sii puntuale oggi.
Ti saluto".
Manetti rimase con la cornetta in mano per una trentina di secondi fissando il vuoto.
Ripose poi il telefono e con passi confusi si diresse verso il centro del salotto, e a quel punto lo assalì un nervoso incontrollabile.
Si avvicinò al muro e fece per dargli un bel pugno ma si fermò a un paio di centimetri da esso pensando che il nervoso scomparisse.
Quest'ultimo però non si fece attendere a lungo, e un'ondata più forte della precedente lo spinse a buttare giù dallo stesso muro un quadro che presentava l'immagine di un paesaggio di montagna.
Una casa attorniata da un giardino vestito da un regale manto bianco, una fila di alberi, un cielo ricoperto da nubi basse e di color grigio chiaro cariche di altra neve pronta a cadere, e sullo sfondo una lunga catena montuosa assomigliante all'esteso arco alpino, affollato da rocce e da candidi ed incontaminati ghiacciai situati ad alta quota.
Poi se la prese con un paio di vasi cinesi riducendoli in frantumi, ma se ne pentì subito perchè erano i pezzi più belli della sua elegante collezione.
Quando tutta quell'agitazione lo abbandonò, si rese conto del pasticcio che aveva combinato nei momenti in cui non era in sè.
Raccolse mortificato tutti i cocci dei vasi e i pezzi del quadro, alcuni dei quali erano ancora incastrati nella cornice, e con una triste espressione sul viso li gettò nel secchio dell'immondizia.
In seguito gli tornò in mente la telefonata di poco prima e si tolse quindi tutti quei vestiti eleganti che portava, per indossare una tuta vecchia e scolorita, a testimonianza della bassezza d'umore che aveva in corpo.
Poi, si sistemò i capelli alla meglio e uscì di casa deciso a disubbidire agli ordini del commissario.
Si recò sul luogo del delitto a cercare furiosamente qualche traccia dell'assassino tra i ciotoli, e questa volta continuò per ore, senza fermarsi per un'istante neppure per mangiare un boccone.
Rivoltò i sassi con una violenza indescrivibile, quasi volesse sbarazzarsi completamente di essi per vederci più chiaro.
Scrutò attentamente gli alberi intorno, le rotaie, i fili d'erba che sbucavano dalla terra, ma sempre togliendo di mezzo quei sassi che tanto gli impicciavano.
Si sporcò inverosimilmente la tuta e le mani di polvere bianca rilasciata dai ciotoli, e quasi non si guardava dai treni che sopraggiungevano e ogni volta fischiavano per avvertirlo della loro presenza.
Dopo tanto lavoro però, trovò una cosa che gli era sfuggita in precedenza.
Impigliato per la cinghietta ad una traversina, scovò un orologio di valore, tutto strisciato e pieno di botte.
Funzionava al quarzo ed era tutto d'oro tranne la cinghietta e il quadrante.
"Finalmente"! Si disse soddisfatto.
Avendo in mano un apparente indizio su cui basarsi, se ne andò a fare una passeggiata per la città tranquillo e rilassato.
Lungo la strada, accanto ad una cartolibreria, gli sembrò di scorgere il vecchietto che aveva riconosciuto il corpo.
Gli corse subito appresso e gli fece qualche domanda.
"è lei che ha riconosciuto il corpo"?
"Sì, sono io.
E lei chi è"?
"Sono un agente di polizia.
Sto indagando su quel caso.
Sa dirmi di chi è quest'orologio"? Chiese subito con tono fermo e sicuro tirandolo fuori da una profonda tasca.
Gli rese l'oggetto con calma, e subito il vecchietto lo guardò dritto in faccia.
"Questo è l'orologio del mio amico Luigi"! Esclamò.
"Però mi sembra strano che uno come lui riduca un orologio del genere in questo stato, perchè è un maniaco della perfezione.
Pensi che a casa ha una collezione di orologi di questo tipo, e nessuno di essi ha mai la cinghietta o troppo stretta o troppo larga, o è mai fuori posto.
Li tiene tutti appesi ad un'asta che si è attaccato al muro.
Ma lei dove lo ha trovato questo"?
"L'ho trovato proprio sul luogo del delitto sotto una traversina.
Lei ha idea di come possa essere finito lì"? Chiese con lo sguardo incattivito.
"Ma non vorrà insinuare che il mio amico è l'assassino di quell'uomo vero"?
"Ah io non lo so, ma ho una voglia matta di andarlo a trovare per chiarire la faccenda.
Mi dice dove abita"?
"Volentieri"! Disse il vecchietto con assoluta sicurezza riporgendogli l'orologio, facendogli quindi capire che doveva restituirlo al proprietario.
"Così si potrà rendere conto da sè dell'errore che sta commettendo.
Pensi che quando gli entrano gli insetti in casa, non li sfiora neanche con un dito per paura di far loro del male.
Come fa uno così ad uccidere un suo simile?
Lo vada pure a trovare.
Abita appena fuori Brescia, in una casa attorniata da un piccolo giardino anch'esso tenuto molto bene, e il giardino è circondato a sua volta da una recinzione in ferro battuto con le punte sopra, e con tanto di cancello automatico.
Ha presente quel viale alberato che sta vicino all'autostrada"?
"Sì, lo conosco".
"Lo percorra tutto, e l'ultima casa a sinistra è la sua.
Non può sbagliare".
"Mi dica anche il suo cognome così vado sul sicuro".
"Si chiama Luigi Stecchi".
"Bene".
"Spero di ritrovarla da qualche parte agente, perchè così mi darà ragione.
Mi creda, non può essere stato lui ad ucciderlo".
"Vedremo.
La saluto intanto".
Manetti andò dritto verso il viale alberato alla ricerca della casa, mentre il vecchietto si diresse dalla parte opposta con la solita pipa in bocca, contento di aver dato utili informazioni a qualcuno.
Quando Manetti giunse al viale alberato, lo percorse tutto con passi decisi finchè arrivò a quella casa, che appariva esattamente come l'aveva descritta il vecchietto.
Arrivato davanti al cancello automatico in ferro battuto, fece per suonare il campanello, ma sul punto di farlo esitò.

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venerdì 10 novembre 2000 18.05.22