La mia infanzia trascorsa tra l'affetto dei genitori, del nonno
Silverio e la nonna Mafalda trascorreva tranquilla, tra i giochi,
la scuola e tante attivita' che quotidianamente io amavo seguire.
Lentamente io giungevo ad un'età nella quale nuovi sentimenti
iniziavano ad avvolgere il mio pensiero.
Un giorno, per dire la verita' quello che maggiormente ricordo,
mentre tornavo a casa da scuola in un pomeriggio autunnale
camminando lungo un viale ricco di foglie secche e numerosi
frutti di sicomoro con i quali mi divertivo a giocare al calcio,
feci un incontro fantastico.
Prima di quel giorno furono molte le volte in cui passai lungo
quel viale, dato che per andare a scuola ero obbligato a farlo
ogni mattina e ogni pomeriggio.
Il vento autunnale, scuotendo le ultime foglie degli alberi
cercando di staccarle, creava attorno a me un senso di disagio in
quanto, per il fatto che io odio il vento, mi costringeva a
tenermi stretto il bavero del giubbotto attorno al collo.
Vedevo le foglie dei sicomori cadere come elicotteri sulla strada
terminando il loro planare con un splash! quasi a dire:
"finito".
Sembrava proprio che quella brezza fredda volesse dimostrarsi,
nei confronti di quelle fronde ormai spoglie, l'ultima carezza
della mamma prima che quegli alberi si addormentassero per
l'avvicinarsi della stagione invernale.
Mentre camminavo tutto frettoloso verso casa,
accarezzato da quell'aria antipatica che mi sfiorava il viso, mi
sento tirare il giubbotto dal di dietro.
Mi giro di tutta fretta e, sorpresa, mi vedo Elena, una compagna
di scuola che, con un mazzo di fiori nella mano destra, stava
camminando frettolosa per andare a fare visita alla nonna
Annetta.
Era ormai qualche tempo che io desideravo incontrare Elena a
quattr'occhi, si', proprio a quattr'occhi, perche desideravo
confidarle quello che sentivo dentro di me, desideroso che solo
lei potesse saperlo.
La mia incertezza, dovuta forse alla timidezza nell'esprimere
sentimenti cosi' profondi, la giornata sempre ricca di impegni
nel gioco, nell'aiutare il nonno, nell'andare a scuola, era
sempre stata la causa che aveva impedito tutto questo.
Il cuore cominciava a battere forte, ormai non sentivo neppure la
brezza fredda sul viso, dentro di me si era creato un blocco che
mi impediva di parlare, mi impediva di ragionare.
Quella figura che vedevo quotidianamente nel cortile della
scuola, ora si trovava di fronte, una
bimba dalla pelle morbida e fresca nelle sue mani, con un
viso d'angelo contornato dalla ricca chioma di biondi capelli che
le scendevano lungo le spalle, quel vestito a fiori su cui
scendeva una meravigliosa collana di perle costruite a scuola con
tanta passione, il tintinnio del suo braccialetto d'oro, avevano
creato al mio interno una nuova dimensione del luogo in cui mi
trovavo.
Probabilmente per me quella poteva essere l'occasione buona per
assolvere ai miei desideri interiori: parlare con lei delle mie
aspirazioni, sfogare i miei sentimenti, confidare proprio tutto
quello che sentivo dentro di me per lei in quel periodo.
La sua presenza di fronte a me mi rese immobile, muto, indeciso.
Questo atteggiamento per me involontario, creo' in lei il
sospetto che io mi fossi arrabbiato per il fatto che qualcuno mi
avesse tirato il giubbotto, e, con voce debole e curiosa mi
disse:
- Sellin! Sellin, ma ce l'hai con me perche' ti ho tirato il giubbotto?
Io, che mai avrei pensato a tutto questo, iniziai a sentire in me un senso di colpa per averla ferita, forse, nel suo piccolo cuore, e, sospirando profondamente, lasciai scendere una lacrima dall'occhio sinistro.
Lei la vide e, premurosamente, prese di tasca
un fazzoletto e raccolse quella lacrima dalla mia guancia che
ormai cominciava forse ad arrossire di vergogna, ma anche di
gioia per quella sua azione affettuosa.
Quella azione, per me, fu il fiore che stava sbocciando e che
ormai richiedeva tanto coraggio, tanta fatica e tanto calore per
schiudersi.
Fu un attimo, fu un raggio di sole, fu un gesto istintivo, fu
qualche cosa che io allora non ricordo come avvenne, ma quello
che ricordo ora e' che mi trovai aggrappato al suo collo
piangendo di gioia e di grande festa tra i suoi biondi capelli.
Lei, che mai si era immaginata una simile situazione, tutta
impaurita, resto' immobile, diritta nel suo corpo, muta come un
pesce, ma con le mani che accarezzavano i miei capelli come
quell'aria che ci circondava quando accarezzava la chioma degli
alberi.
Ricordo quelle mani fredde al loro esterno, ma per me tanto calde
al loro interno, quelle mani morbide che sfioravano i padiglioni
delle mie orecchie diventate ormai rosse di calore.
Ricordo quelle dita che si intrecciavano tra i miei capelli,
sollevandoli quasi a voler cercare i segreti che potevano
nascondersi tra di loro, quasi ad individuare i miei pensieri, i
miei crucci.
I suoi capelli poi, tanto lunghi, tanto profumati e tanto
morbidi, mentre sfioravano la mia faccia che tra di loro si
coccolava bagnandoli di tante lacrime di gioia, erano il luogo
piu' nascosto in lei dove regnava quel sentimento che, allora, io
non riuscivo a ritrovarmi.
Lei, ancora piu' piccola di me, (aveva solo dodici anni e mezzo),
non sapeva cosa fosse successo tra di noi in quel momento, non
riusciva a comprendere il vero motivo del mio gesto, non sapeva
cosa doveva fare per riuscire a comprendere il mio comportamento
e potermi quindi aiutare.
La nostra amicizia, un'amicizia ormai tanto stretta, era nata
ancora alla scuola materna quando la sua mamma la porto' per la
prima volta alla scuola.
Ricordo quando arrivo', con una bambola ricciuta tra le braccia e
che disse a tutti che quella era la sua bambina.
Elena, per me, per l'amicizia che regnava tra di noi tra i giochi
e la scuola, in quella giornata sul viale aveva raggiunto una
nuova dimensione nei miei sentimenti, ed io, in quell'istante,
non riconoscevo piu' la realta di sempre.
Il nostro stringersi addossati l'uno sull'altro duro' circa
cinque minuti silenziosi che passarono in un lampo.
Successivamente, proprio dopo esserci staccati, ci accorgemmo di
una cosa strana, una cosa ignorata in quei momenti: il vento
freddo che accarezzava le piante del viale cercando di staccarne
le foglie dai rami.
Io, un poco sudato da quella fatica gioiosa, dopo essermi
riabbottonato il giubbotto fino al collo e passato le mie dita
tra i capelli per verificare il sudore della mia fronte, con un
sorriso, dissi ad Elena con voce sommessa e stanca:
- Mamma mia Elena! mamma mia, quanto stanco
sono ora.
Lei, con delicatezza, vedendo il mio volto un poco tirato, mi
disse:
- Sellin, Sellin amico mio, ma cosa ti e' venuto alla testa di
strano per aver fatto tutto questo?
Io, sentendo quella frase che raccoglieva tanta ingenuita' e
tanta incomprensione per i miei sentimenti, ebbi ancora un attimo
di stranezza al mio interno e, abbracciatala ancora alla grande,
le dissi guardandola profondamente negli occhi arrossati:
- Elena, Elena amica mia, ma non lo hai capito ancora che tu per
me sei tutto? che tu per me sei la vita, sei la scuola, la gioia
del mio cuore?
Lei, dopo un attimo di incertezza, solo un attimo brevissimo nel
quale riuscì a leggermi negli occhi, mi abbraccio' stretto
stretto a lei facendo cadere a terra il mazzo di fiori che si
sparsero sul marciapiede, si mise a singhiozzare dicendomi:
-Oh! Sellin! mio Sellin! Pure io volevo dirti
qualche cosa di me, pure io sento qualche cosa che mi lega a te,
pure io sento che mi manchi, ma, purtroppo, per la mia timidezza
sciocca e stupida, non ho mai avuto il coraggio di dirtelo.
Quel giorno fu per noi un giorno di gioia al punto che lei si
dimentico' i fiori sul marciapiede e di andare dalla nonna
Annetta, ed io mi dimenticai di ritornare a casa.
Forse qualcuno potrebbe pensare, a questo punto, che noi fossimo
andati magari in qualche boschetto a fare brutte cose.
No, mai mi sarei permesso di far del male ad Elena, mai avrei
voluto corrompere quell'anima tanto ingenua, tanto trasparente,
tanto coccola.
Quando i nostri animi si erano un poco rilassati da tutto quel
trambusto, assieme, andammo a sederci in una panchina del parco,
proprio quel parco a fianco della chiesa del villaggio.
Arrivati di fronte alla panchina, proprio nel preciso istante in
cui ci sedemmo, Elena si ricordo' dei fiori dimenticati sul
marciapiede.
Io, mosso dal senso della generosita', le dissi di aspettarmi
seduta sulla panchina e corsi a raccogliere i fiori.
Quel pezzo di strada che separava la panchina dai fiori fu per me
un tragitto fantastico, un balzo nel paradiso delle meraviglie.
Il dover raccogliere quei fiori sul marciapiede per portarli ad Elena era per me come regalarle il piu' bel dono della mia vita.
Giunto nuovamente alla panchina, depositai i
fiori per terra accanto a noi e mi sedetti vicino a lei cercando
di ottenere il suo primo bacio.
Devo confessarvi che a quel tempo io ancora non capivo il valore
di un bacio d'amore, ma avevo tantissima voglia di appoggiare le
mie labbra sulle sue per sentirne il tepore e la freschezza.
La voglia frenetica di sentire il suo fiato che entrava nella mia
bocca, il suo viso che si appoggiava al mio era troppo forte.
Questo strano sentimento che mi coinvolgeva creava nei meandri
della mia mente uno strano modo di vedere le cose.
In quel momento nel parco stavano giocando alcuni bambini molto
piccoli ed io preferii contenermi per paura che essi potessero
prenderci in giro.
Elena, che era ormai frastornata da tutto quello che era
successo, minimamente pensava ad andarsene, anzi, tentava quasi
di avvicinarsi forte a me, prendendomi la mano sinistra tra le
sue, facendo crescere nuovamente in me quel sentimento tanto
strano.
Ma come fare, come risolvere quel problema di fronte a quei
bambini che ora stavano di troppo in quel parco?
Il mio pensiero vagava, vagava lungo i sentieri della fantasia
alla ricerca del modo giusto di poter dare un bacio sulla bocca
ad Elena, impedendomi perfino il colloquio con lei che,
pazientemente, se ne stava li ad accarezzarmi la mano sinistra
senza parlare.
Il vento, dispettoso, faceva svolazzare i suoi capelli portandoli
sulla mia testa contribuendo ad alimentare, assieme alle mani di
lei, quel sentimento strano che regnava al mio interno.
Restammo muti e misteriosamente in completa sintonia di
sentimento per una buona mezz'ora, fino a quando quei bimbi se ne
andarono lasciandoci soli nel parco.
A quel punto, Elena si giro' verso di me, mi prese il mento tra
le sue mani fresche e, avvicinando la sua bocca alla mia, mi
diede il bacio tanto sospirato.
Le sue labbra, morbide, fresche, liscie, profumate di cioccolato,
lasciarono una pellicola strana nelle mie, costringendomi a
pulirle con il gomito del giubbotto.
Non contento di quella passatina, sempre istintivamente, feci
uscire la lingua dalla mia bocca per ripulire piu'
approfonditamente.
Elena, colta da un dubbio strano e diffidente, visto il mio gesto
mi chiese:
- Sellin! Ma non ti piace il mio bacio?
Io, che quasi non mi accorsi del gesto che avevo fatto perche'
eseguito istintivamente, la guardai meravigliato, ma fu un solo
attimo, perche' lei, nuovamente, dopo aver ripreso tra le mani il
mio mento, mi schiaffo' un secondo bacio piu' forte del
precedente, stringendomi le labbra tra le sue forte forte.
Ero felice di restare accanto a lei, ero leggero come una nuvola,
sentivo che la sua presenza mi sarebbe mancata nel momento in cui
avremmo dovuto ritirarci nelle nostre case.
Ormai il cielo cominciava ad arrossire per effetto del tramonto
del sole e, ricordandomi che non ero ancora rientrato a casa, le
dissi a malincuore:
- Elena, Ma sei contenta di essere vicino a me? Sai, non vorrei
dirtelo, ma forse dovremmo ritirarci a casa perche' altrimenti la
mia mamma poi si preoccupa, e poi sai, devo fare i compiti per
domani.
Lei, con voce tenue tenue, rispose:
- Oh! Sellin, Sellin, e' vero, devo andare ancora dalla nonna e
poi pure io devo fare i compiti! e' tardi davvero!
Io, dopo essermi alzato dalla panchina, dopo che pure lei si fu
alzata, dopo averle raccolto i fiori da terra, la presi tra le
braccia e le diedi tantissimi tantissimi baci e poi, tutto ad un
tratto, dopo averla salutata, corsi a casa felice come un
colombo.
Quella sera, dopo che fui arrivato a casa, non ricevetti nemmeno
i rimproveri perche', lungo il tragitto inventai la storia che
avrei dovuto raccontare alla mamma, ossia che mi ero fermato da
Elefantoide ad aiutarlo nei compiti.
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giovedì 01 novembre 2001 22.17.49